Nel precedente intervento abbiamo esaminato i dati trimestrali relativi al Pil reale dell’Italia e alle sue componenti dal lato della domanda dopo la recente revisione da parte dell’Istat. Rispetto a quanto sapevamo prima della revisione abbiamo scoperto, grazie a essa, che la risalita economica dopo il Covid è stata più rapida mentre invece la crescita nell’ultimo biennio è stata più lenta.



La ripresa si è infatti manifestata con una discreta velocità, come vediamo nel grafico sottostante, sino al terzo trimestre del 2022, ma si è poi notevolmente  attenuata sino al trimestre primaverile di quest’anno, che è l’ultimo al momento noto. Nell’estate di due anni fa l’indice del Pil reale, posto uguale a 100 a fine 2019, prima che si manifestasse il Covid, aveva raggiunto il livello di 105, dunque il 5% al di sopra dell’ultimo dato prima del Covid. Da allora sono trascorsi sette trimestri, ma l’indice è salito solo di mezzo punto, passando da 105,0 a 105,5. È evidente che su questa dinamica insoddisfacente non può non aver svolto un ruolo di rilievo la politica degli alti tassi della Bce, volta a combattere un nemico che stava già svanendo per conto suo, come l’inflazione, senza preoccuparsi dei costi di tale politica in termini di taglio della crescita economica.



Grafico 1 – Pil reale dell’Italia (indice IV trim. 2019=100)

Se da prima del Covid a oggi il Pil reale è cresciuto poco meno del 6%, i consumi delle famiglie, che rappresentano la componente più grande della domanda, sono invece stazionari rispetto a quel livello, mentre la domanda per consumi finali del settore pubblico è cresciuta come il Pil e quella relativa agli investimenti in impianti e macchinari delle imprese è ora del 10% superiore e quella ante-Covid. Solo due voci hanno registrato incrementi di particolare entità, i fabbricati non residenziali, in cui è compresa gran parte degli investimenti pubblici del Pnrr, con un +38%, e soprattutto gli  investimenti in “abitazioni”, in cui rientrano tutti i lavori manutentivi e migliorativi effettuati utilizzando il Superbonus. In questo caso vi è stato quasi un raddoppio, con un incremento complessivo al secondo trimestre di quest’anno.



Ma sin qui è una sintesi della storia che vi abbiamo già raccontato la volta scorsa. In essa mancava una componente importante della domanda, quella estera, che vediamo nel grafico sottostante.

Grafico 2 – Export e import reale dell’Italia (indici IV trim. 2019=100)

Dopo il Covid la ripresa delle importazioni è stata molto più rapida della ripresa delle esportazioni, che è avvenuta con circa un semestre di ritardo nel corso del 2021 e nella prima parte del 2022. Nel corso del 2022 si sono  fermate le esportazioni, che sono rimaste stagnanti prima di ridursi lievemente nel corso dell’ultimo semestre. L’indice, posto sempre uguale a 100 a fine 2019, è ora a 109, lo stesso valore di due anni fa. Con un trimestre di ritardo, sempre nel 2022, si sono fermate anche le importazioni, con l’indice che aveva raggiunto il livello di 118, per poi iniziare a declinare dalla primavera del 2023 e attestarsi ora a 111, poco sopra quello delle esportazioni.

Dopo aver spiegato le dinamiche del Pil dal lato della domanda è ora di cambiare punto di vista e di spiegare il medesimo andamento dal lato dell’offerta. Quanto hanno contribuito i diversi settori produttivi alla crescita economica dell’Italia e da quali dipende l’attuale fase di ristagno?

Grafico 3 – Il valore aggiunto reale dei settori produttivi (indici IV trim. 2019=100)

Nel grafico qui sopra vediamo che:

– l’agricoltura ha risentito poco del Covid, trattandosi di attività produttive non intaccate dal lockdown, tuttavia solo a fine 2022 ha recuperato il livello pre-Covid e da allora il trend è in riduzione, con l’indice ora a quota 96;

– l’industria in senso stretto, che comprende il manifatturiero e l’energia, crolla col Covid, ma recupera velocemente ritornando al livello di partenza già all’inizio del 2021, tuttavia da allora è stagnante e nell’ultimo semestre in lieve riduzione; l’indice è a quota 99, come già all’inizio del 2021;

– solo i servizi hanno visto una buona dinamica, seguendo lo stesso percorso dell’intera economia; il loro indice è a quota 106.

Nel Grafico 3 manca una componente, dato che le sue performance fuori scala ci avrebbero impedito di vedere in dettaglio le precedenti. Si tratta del settore delle costruzioni che aggiungiamo qui sotto, protagonista di un autentico boom iniziato nel 2021 e che ha portato il valore più recente dell’indice a quota 145. Il settore ha enormemente risentito dello stimolo del Superbonus prima e degli investimenti Pnrr dopo, tuttavia l’effetto netto sul Pil appare limitato e totalmente neutralizzato dalla contemporanea debolezza dell’industria in senso stretto.

Grafico 4 – Il valore aggiunto reale nelle costruzioni (indici IV trim. 2019=100)

Non sarebbe stato invece molto meglio puntare a rafforzare l’industria? Il sostegno pubblico all’investimento in costruzioni, siano esse opere pubbliche o case private, è una politica esclusivamente dal lato della domanda, non in grado di ampliare stabilmente la capacità produttiva del Paese. Al contrario invece degli investimenti in impianti e macchinari, i quali ampliano sia la domanda che l’offerta, incidendo sulla capacità produttiva.

Il Pnrr è una versione contemporanea del Piano Marshall, con la differenza tuttavia che all’epoca una parte non piccola dei finanziamenti Usa allo Stato italiano fu utilizzata per effettuare prestiti a tassi ragionevoli alle imprese affinché rinnovassero e ampliassero i loro impianti. E questa scelta, che non è stata purtroppo copiata nel Pnrr, diede un contributo rilevante al boom economico dell’Italia, che ebbe inizio da lì a poco.

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