Messa alle spalle (almeno ad un’analisi superficiale) l’emergenza-pandemia, l’attenzione ai numeri della pubblica opinione si è spostata immediatamente dai dati sui contagi a quelli sull’economia. L’ottimismo individuale fa seguito alle notizie più che incoraggianti che ci giungono dal lato dell’epidemia di Covid-19. In effetti, al 6 giugno i decessi sono infatti scesi a 68 (in media settimanale), numero che, per quanto ancora elevato, è comunque il più basso da circa 8 mesi. I ricoveri in terapia intensiva sono 892, finalmente sotto le mille unità e uguale a quanti se ne registravano ai primi di dicembre. Infine, il tasso di positività dei tamponi è sceso a 1,4%, un valore che non era così basso dal settembre 2020.
L’ottimismo indotto da questi numeri si traduce in ottimismo del mercato in relazione ad una possibile ripresa e quindi in segnali fortemente positivi per l’economia.
A conferma di ciò , l’Istat ha recentemente reso note le proprie previsioni di crescita, le quali vedono il nostro Pil salire di ben 4,7 % nel 2021 e del 4,4% nel 2022. Ad esse fanno eco le previsioni di Bankitalia, la quale prevede una crescita del 4% nel 2021, e del Fmi (4,3% nel 2021 e 4% nel 2022), purché siano soddisfatte due condizioni: il controllo dell’andamento dell’epidemia e la realizzazione degli annunciati cambiamenti strutturali. Tali previsioni rese note di recente sono, tuttavia, al ribasso rispetto a quelle riportate nello scorso novembre da Goldman Sachs (che ci accreditava di un 6% nel 2021 e del 3,6 % nel 2022) e da Bloomberg (5,5% e 2,6% rispettivamente nei due anni). E se il totale nel biennio resta comunque intorno al 9%, le nuove previsioni spingono maggiormente la crescita verso il 2022 piuttosto che nell’immediato dell’anno in corso.
Parlando di crescita economica, tuttavia, vorrei tornare su un tema che ho già trattato nel mio intervento del 27 febbraio, oltre che nel mio saggio di qualche anno fa: la diseguaglianza economica e le sue relazioni con la crescita economica.
Nel mio precedente intervento, a partire dall’attenzione rivolta al tema dal premier Draghi nel suo discorso per la fiducia al Senato, ho già accennato brevemente al fatto che sussiste un complesso legame tra queste due grandezze, sottolineando come elevati livelli di crescita del reddito pro-capite spesso si osservano congiuntamente ad una elevata concentrazione dei redditi nelle mani di pochi percettori. Ho anche rilevato, però, come crescita e diseguaglianza non possano convivere a lungo, in quanto livelli elevati di diseguaglianza possono instaurare un meccanismo di causa-effetto di segno opposto, il quale tende, invece, a rallentare la crescita.
Entrando maggiormente nel dettaglio, va chiarito che i differenziali di reddito tra individui possono essere ricondotti a due fattori distinti, i quali presentano implicazioni diametralmente opposte. Facendo riferimento alle categorie rousseauiane (riportate nel famoso Discorso sull’origine e i fondamenti della diseguaglianza tra gli uomini) si può affermare che tali differenziali possono essere, infatti, dovuti a due diverse cause: differenze dette naturali e differenze dette sociali.
Le differenze naturali tra individui, ad esempio nel loro quoziente intellettivo, nelle loro capacità relazionali, nelle loro abilità manuali eccetera, conducono, infatti, ad una diversa produttività del lavoro, la quale, secondo i principî neoclassici si traduce in differenziali salariali e quindi in diseguaglianza dei redditi. Tuttavia, tale diseguaglianza è una diseguaglianza, per così dire, “buona”, essendo essa associata a fattori stimolanti la crescita economica. Chi può dissentire, infatti, dall’economista Gregory Mankiw quando afferma che l’arrivo di un imprenditore geniale sull’isola di Utopia, dove tutti hanno il medesimo reddito, sia un fatto positivo per tutti? Dal suo arrivo e dalla sua attività imprenditoriale, in effetti, tutti gli abitanti dell’isola beneficiano o in via diretta, per la soddisfazione derivante dall’innovazione introdotta, o anche indirettamente per la domanda di lavoro che essa genera.
Tuttavia, in un sistema incontrollato, l’innovatore (e in misura crescente i suoi discendenti non necessariamente dotati delle medesime qualità naturali) andrebbero via via beneficiando di vantaggi competitivi, rendite di posizione e barriere all’entrata i quali, a lungo andare, potrebbero generare differenziali di reddito basati non più su diseguaglianze di tipo naturale, ma di tipo sociale. Sono proprio le diseguaglianze sociali ad essere cresciute in Italia in questi ultimi anni e in modo crescente nell’ultimo anno a causa della pandemia. Questo secondo tipo di diseguaglianza che può venire a instaurarsi è una diseguaglianza “cattiva” destinata a frenare anziché accelerare lo sviluppo economico. Il peso relativo e le tensioni interne a queste due componenti del medesimo fenomeno risentono di tanti fattori tra i quali lo stadio evolutivo dell’economia, il sistema di regole e molti altri.
E’, in fondo, la dicotomia tra diseguaglianza dei redditi e diseguaglianza delle opportunità al quale spesso si sente fare riferimento. Politiche economiche che abbiano a cuore l’obiettivo dell’efficienza del sistema e della crescita del paese nel medio-lungo periodo devono dunque favorire il primo tipo di diseguaglianza (con l’incentivazione del merito) e reprimere, invece, con decisione il secondo tipo.
Le misure redistributive delle quali si discute spesso in questo periodo sarebbero, dunque, di sicuro beneficio per la crescita economica a vantaggio di tutte le componenti sociali (anche di quelle inizialmente svantaggiate), a patto che vadano a compensare le diseguaglianze sociali acuite dall’emergenza sanitaria degli ultimi anni e a favorire al contempo il merito.
Le società umane si sono da sempre avvicendate nel palcoscenico storico mondiale a seguito di eventi naturali, demografici, invenzioni o guerre attraverso i quali alcune culture si sono imposte e altre si sono eclissate. E’ questa la fase che stiamo vivendo. I grossi mutamenti che osserviamo sono gli effetti di una serie di molteplici eventi sconvolgenti (ben analizzati, ad esempio, dal governatore Visco), ultimo e più drammatico dei quali la crisi pandemica, i quali richiedono un intervento deciso nell’azione pubblica con ritorni che saranno necessariamente dilazionati nel tempo, per i quali occorre quindi un progetto ben chiaro e tanta pazienza. Ma su questo aspetto magari tornerò più in dettaglio in un mio prossimo intervento.
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