L’agenda del Governo torna sotto i riflettori. Oggi il Consiglio dei ministri dovrebbe varare il Documento di economia e finanza, primo passo verso la prossima legge di bilancio, mentre mercoledì il ministro Fitto riferirà in Senato sullo stato di attuazione del Pnrr e sulle criticità che bloccano la terza tranche di fondi europei: con Bruxelles va avanti una trattativa sulla quale il commissario europeo Gentiloni si era detto possibilista.
Ma i veri nodi che nessuno può sciogliere riguardano lo stretto intreccio “di vincoli politici e limiti giuridici che pone notevoli restrizioni al pieno esercizio della funzione di indirizzo politico a livello nazionale”, ci spiega Marco Dani, docente di diritto pubblico comparato nell’Università di Trento. E questo non sarà mai abbastanza sottolineato se si vuol capire che la vera posta in gioco non è soltanto quella di “saper spendere” i fondi concordati. Condizioni, condizionalità e vincoli derivanti dalla (nuove) regole fiscali sono un tutt’uno che lascerà poco, pochissimo spazio alle nostre proposte di rimodulazione del Piano, come pure al Def Giorgetti-Meloni. Così poco che se ci fosse qualcun altro al loro posto, le differenze non sarebbero poi così apprezzabili.
Nei giorni scorsi abbiamo assistito ad un confronto centrato quasi esclusivamente sui ritardi e sul fatto che questi ritardi potrebbero mettere a repentaglio i fondi. Ma ci sono margini, margini veri, di indirizzo politico da parte del Governo?
Iniziano a venire al pettine alcuni nodi che alcuni analisti e commentatori avevano già evidenziato al momento dell’approvazione di Next Generation Eu e, successivamente, del Pnrr. La struttura di questi strumenti risente fortemente dell’accordo politico che ne ha permesso l’approvazione nel luglio 2020 e di alcuni limiti giuridici posti dai trattati vigenti. Come dicono i costituzionalisti, il “combinato disposto” di vincoli politici e limiti giuridici pone notevoli restrizioni al pieno esercizio della funzione di indirizzo politico a livello nazionale.
Come si spiegano queste restrizioni?
Il NGEU è stato approvato a partire da due presupposti. In primo luogo, si doveva trattare di una iniziativa una tantum giustificata dalle conseguenze economiche della pandemia. In secondo luogo, l’assistenza finanziaria doveva essere sottoposta a condizioni e a condizionalità. Questo significa che il quid pro quo per l’assistenza finanziaria dell’Ue dovevano essere da un lato l’attuazione di misure e investimenti connessi alla transizione ecologica e digitale (condizioni), dall’altro l’attuazione di una serie di riforme coerenti con le raccomandazioni macroeconomiche formulate dalla Commissione europea nel 2020 (condizionalità). Ma c’è un altro vincolo importante relativo alle regole fiscali.
Vale a dire?
In aggiunta a questi vincoli “all’origine” che hanno influito sul contenuto dei Pnrr, è previsto che gli esborsi di risorse possano essere sospesi anche in relazione a violazioni delle regole fiscali. Regole fiscali che ancora per tutto il 2023 rimarranno sospese, ma che a partire dal prossimo anno ritorneranno a “mordere”, anche se con contenuti e forme probabilmente diversi da quelli pre-pandemici. Ora, l’insieme di questi vincoli comprime non poco i margini di manovra dei governi nazionali. L’invadenza, per così dire, di NGEU emerge almeno a tre livelli.
Vediamoli brevemente.
Anzitutto, le condizioni, ma soprattutto le condizionalità possono di fatto espandere l’ambito applicativo del diritto europeo ben oltre i limiti di competenza definiti nei trattati.
Ad esempio?
Il trasferimento di risorse per la transizione ecologica e digitale è condizionato all’attuazione di profonde riforme del sistema giudiziario nazionale, materia che certo non compare tra quelle attribuite all’Ue nei trattati.
Secondo livello di “invadenza”?
Non è un mistero che le condizionalità macroeconomiche risentono di una curvatura neoliberale che rende indirizzi di politica economica alternativi poco praticabili.
E poi?
Infine, i piani di ripresa e resilienza si sviluppano in un arco temporale non sincronizzato con quello delle legislature nazionali, imponendo, come nel caso italiano, ad un governo e una maggioranza parlamentare di attuare un programma di investimenti e di riforme concepito da un governo e da una maggioranza parlamentare di colore politico diverso, senza poterlo modificare se non per ragioni oggettive che certo non possono riscontrarsi nell’avvicendamento alla guida del governo nazionale.
Che conclusioni possiamo ricavarne?
Si può ben comprendere che una logica di questo tipo risponde a criteri manageriali che hanno una razionalità di fondo riassumibile nell’obiettivo di attuare riforme e investimenti “utili al Paese”. Non fosse che investimenti e riforme rispondono inevitabilmente “ad una certa idea di Paese”; un’idea di Paese che non è certo uscita vincente dalle scorse elezioni politiche e che, nondimeno, grazie al Pnrr ipotecherà l’attività legislativa e di governo anche in questa legislatura.
Uno sguardo all’entità e alla composizione delle 6 “missioni” mostra che una parte preponderante è riservata alla transizione ecologica e a quella digitale. Secondo lei, a suo tempo, tra il 2020 e il 2021, c’è stata adeguata discussione parlamentare in merito?
Se ci si riferisce alla decisione di attribuire la priorità alle 6 missioni negli strumenti legislativi europei, la discussione si è svolta nel Consiglio europeo più lungo della storia che ha prodotto delle conclusioni assai dettagliate che, successivamente, Commissione, Parlamento europeo e Consiglio hanno tradotto in atti legislativi. Il procedimento legislativo ha visto una partecipazione significativa del Parlamento europeo, che ha dovuto comunque lavorare su un testo in larga misura già preconfezionato in sede intergovernativa.
E per quanto riguarda la fase di progettazione dei piani di ripresa e resilienza nazionali?
Gli studi ci indicano che un po’ dappertutto in Europa il ruolo dei parlamenti nazionali è stato assai ridotto e che il contenuto dei Pnrr è stato elaborato principalmente nell’asse governi nazionali-Commissione europea.
Tutto questo che cosa ci dice delle finalità del Pnrr? È solo la ripresa economica post-pandemica? O anche qualcos’altro?
Il Pnrr, come è noto, si prefigge di promuovere tanto la ripresa quanto la resilienza delle economie nazionali nella fase post-pandemica. È stato autorevolmente osservato che dei due obiettivi, soprattutto la resilienza è quello principale, visto che alla ripresa durante e dopo la pandemia hanno pensato soprattutto i governi e i parlamenti nazionali, non pochi con il provvidenziale sostegno della Banca centrale europea. Si può quindi argomentare che l’Ue abbia colto al balzo l’occasione della crisi pandemica per sperimentare un nuovo strumento di politica economica che, almeno nelle intenzioni, dovrebbe promuovere un certo grado di convergenza tra le politiche economiche nazionali. Il punto è stato colto dal Tribunale costituzionale federale tedesco nella sentenza del dicembre scorso su NGEU dove si è rilevato, senza però trarne conclusioni decisive in merito alla legittimità del programma, che il nesso tra l’emergenza pandemica ed il contenuto delle misure promosse da NGEU è piuttosto tenue.
Siamo mai stati così “vincolati” dall’Ue?
A partire dalla crisi sul debito sovrano si è affermata nell’Unione Europea la discutibile tesi che la sovranità sia un attributo che, di fatto, gli Stati membri devono conquistarsi con quelle che in gergo europeo si chiamano “finanze pubbliche sane”. Secondo questa scuola di pensiero, gli elevati livelli di debito pubblico del nostro Paese giustificherebbero ampi e incisivi vincoli sulla nostra politica economica. Che questi vincoli abbiano avuto esiti non proprio esaltanti è affermazione che forse non compete ad un giurista.
D’accordo. Però?
Mi limito allora a dire che un giudizio di compatibilità di questi vincoli con il dettato costituzionale presuppone una lettura rinunciataria di quest’ultimo, visto che, come si è dimostrato in precedenza, ormai è la stessa idea di democrazia dell’alternanza ad essere nei fatti compromessa dalla governance economica europea.
A proposito: che rapporto si sta configurando tra Recovery Fund e nuovo Patto di stabilità e crescita e che cosa potrebbe implicare questo per noi?
Il rapporto, come ho detto, è assai stretto, visto che il dispositivo di ripresa e resilienza condiziona gli esborsi di risorse europee al diligente e puntuale rispetto delle regole fiscali. Aggiungo poi che il rispetto delle regole fiscali e degli impegni contratti nell’ambito del Pnrr è anche condizione per ricevere la copertura della Bce attraverso il Transmission Protection Instrument, ovvero lo strumento di acquisto di titoli di debito pubblico nel mercato secondario.
Di fatto, stiamo assistendo ad un grande cambiamento. Tanto reale, quanto non immediatamente percettibile.
Diciamo che si va profilando un assetto istituzionale imperniato su una triade di strumenti – NGEU, TPI e le nuove regole fiscali – dai cui vincoli gli Stati membri – e in particolare, quelli con una situazione finanziaria più deteriorata – potranno sfuggire solo a caro prezzo. Economico e politico.
(Federico Ferraù)
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