Gli ultimi dati sul mercato del lavoro americano hanno mandato i listini azionari in rosso. Il tasso di disoccupazione (4,3% a luglio) è salito ai livelli più alti dal 2021 e il numero di nuovi posti di lavoro è stato molto al di sotto delle attese. I timori di recessione in questi giorni vengono prezzati dagli investitori a ritmi che hanno pochi paragoni. Solo giovedì si scontavano tre tagli dei tassi della Fed prima della fine dell’anno, mentre ieri sera il numero era salito a quattro. Il rendimento delle obbligazioni statali americane a due anni è in picchiata perché gli investitori scommettono su una fase di tagli dei tassi.
Questa è la terza volta negli ultimi diciotto mesi in cui i mercati scommettono su un’inversione del ciclo. La prima è stata a primavera 2023. La seconda negli ultimi mesi dello stesso anno con gli investitori talmente convinti di una recessione da scommettere, a metà dicembre, sui sei tagli dei tassi nel 2024. In entrambi casi le scommesse sono state perse e tre mesi fa, all’inizio di maggio, si scontava solo un taglio.
I tentativi che si ripetono, ciclicamente da diciotto mesi, di vendere le banche scommettendo su recessione e tagli dei tassi sono stati tutti smentiti sia dalle trimestrali che dalle performance azionarie. Oggi le scommesse si ripetono, ma, a differenza degli altri due casi, i segnali di rallentamento non sono un evento futuro, ma un fatto attuale. Nelle ultime settimane abbiamo assistito a cali in doppia cifra dei principali costruttori d’auto globale, segnali di indebolimento dei consumi con le principali catene americane che davano conto di consumatori in difficoltà; due giorni fa, a farsi spazio tra le centinaia di trimestrali pubblicate, sono state le dichiarazioni dell’ad di Wayfair, una società di vendita online di mobili e oggetti per la casa, secondo cui i cali delle ultime settimane sono equiparabili solo a quelli successivi al fallimento di Lehman. Questi segnali avvengono negli stessi mesi in cui il turismo e il trasporto areo vivono una stagione da record e in cui altri settori non rilevano segnali di rallentamento.
Una possibile spiegazione si può trovare nell’aumento dei prezzi degli ultimi tre anni. Anche in economie che hanno visto aumenti salariali sostenuti, come quella americana, l’aumento medio dei prezzi si confronta con un aumento medio dei salari all’interno del quale ci sono categorie che non hanno recuperato il potere d’acquisto eroso dall’inflazione. L’aumento medio dei prezzi si applica a tutti, ma quello dei salari no. Il timore è che qualsiasi rallentamento del mercato del lavoro lasci una fascia di popolazione alle prese con prezzi molto più alti di tre anni fa; gli investitori intravedono la possibilità che la crisi dei consumi possa essere molto più veloce rispetto ad altre fasi. La Fed può rispondere tagliando i tassi, ma, notavano per esempio gli economisti di Wells Fargo qualche giorno fa, i tagli non arriverebbero abbastanza in fretta per invertire il rallentamento in tempo.
Questo è lo scenario che si sta delineando in questi giorni e a cui gli investitori sembrano credere. È uno scenario di forte rallentamento che sui mercati prende la forma di acquisti di obbligazioni e di titoli azionari in qualche modo assimilabili al reddito fisso. L’ultima crisi, ci riferiamo a quella da Covid e da lockdown, è stata “curata” con dosi massicce di deficit e di immissioni di liquidità e il conto si è poi presentato a fine 2021 con una fase inflattiva che non si vedeva da due generazioni. Qualsiasi stima sull’inizio, la durata e la profondità di un ciclo di rallentamento dovrebbe includere un’assunzione su quale sarà la reazione delle Banche centrali e dei Governi a partire da quello americano.
È davvero impossibile non rilevare che l’America starebbe entrando in recessione o starebbe rallentando con un deficit all’8% e poi non chiedersi dove finirebbe con nuovi stimoli fiscali e, ma stiamo correndo, quale sarebbe alla fine il tasso di inflazione di picco.
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