La scelta di introdurre il redditometro è stata intempestiva? La vicenda alla quale abbiamo assistito è il segnale di quanto sia vera la massima per cui i ministri passano ma i dirigenti, ministeriali e non, restano. Non è irragionevole ipotizzare, infatti, che a volere il redditometro in questo momento siano stati gli apparati del Mef per giustificare la richiesta di aumentare il proprio organico.



In questi giorni è stato abbondantemente spiegato cosa sia il redditometro. Da una parte, è stato qualificato come ulteriore meccanismo per combattere l’evasione fiscale e, dall’altra, come strumento invasivo per la privacy dei contribuenti. Il redditometro, secondo le versioni originaria e quella da ultima “sospesa”, si propone di analizzare la spesa dei contribuenti rispetto a talune voci (medicinali e visite, bollette, passando per le spese del mutuo o alle spese per il telefono fino, addirittura, a quelle per piante e fiori o per mantenere un cavallo) per giungere a individuare il reddito (presunto) dei contribuenti con l’intento di individuare quanto sia stato evaso. Chi lo difende afferma che se non c’è nulla da nascondere, non c’è nulla da temere. Chi lo osteggia afferma che non si può invadere la privacy del cittadino attivando un grande fratello che controlli le spese di quest’ultimo in un’ottica repressiva.



La versione sospesa si doveva applicare per i redditi dal 2018 in poi partendo dai dati già presenti nell’anagrafe tributaria che evidenzino anomalie. Il fisco, partendo dalle possibili anomalie, avrebbe potuto chiedere spiegazioni ai contribuenti affinché potessero giustificare la disponibilità di altri redditi (redditi passati, risparmi accumulati, vincite, ecc.) per finanziare le spese non giustificabili dal reddito conseguito nel periodo di imposta. A questo punto si sarebbe dovuto attivare il contraddittorio (strumento che, secondo Leo, il provvedimento sospeso avrebbe potenziato) per consentire al cittadino di chiarire come siano state finanziate le spese apparentemente non giustificate.



Sappiamo com’è andata: il Viceministro Leo si è trovato spiazzato perché dopo averlo introdotto si è trovato solo. I colleghi della maggioranza, infatti, si sono affrettati ad affermare che da sempre sono contrari al redditometro. Leo si è difeso sostenendo che la reintroduzione era figlia di una richiesta della Corte dei Conti e che il provvedimento sospeso puntava a regolamentare il meccanismo del “redditometro”, introdotto nel 2015 dal Governo Renzi.

Ed eccoci arrivati al nodo cruciale. Il provvedimento sospeso, come sovente accade, non faceva altro che rivisitare strumenti che già esistono e che non hanno sempre dato prova di grande efficacia, se non mediatica. L’accertamento sintetico, infatti, esiste nel nostro ordinamento tributario fin dal 1973, art. 38 comma 4 del DPR 600/73. Secondo Leo, il nuovo provvedimento puntava a correggere una stortura che si è creata nel 2018, quando il Governo Conte 1 ha abolito il D.M. 16 settembre 2015, il cosiddetto “redditometro”, del Governo Renzi e aveva contestualmente stabilito che si dovesse emanare un nuovo decreto con dei paletti precisi a garanzia del contribuente, in modo da limitare al minimo il contenuto induttivo dell’accertamento, e privilegiando sempre il dato puntuale e ciò a garanzia del contribuente. Quel decreto non è stato mai emanato e “intempestivamente” si è pensato di introdurlo a pochi giorno dal voto europeo.

Cosa sarebbe accaduto se il provvedimento fosse intervenuto pochi giorno dopo il voto è facile intuirlo. Il centrodestra avrebbe detto che il Governo continuava a fare la lotta alla evasione e il centrosinistra si sarebbe trovato spiazzato sul tema della lotta all’evasione. Per i cittadini sarebbe cambiato poco e altrettanto poco sarebbe cambiato per le finanze dello Stato, posto che lo strumento in passato non ha dato grande prova di efficacia. Nel prossimo futuro, a urne chiuse e con appuntamenti elettorali più distanti, è molto probabile che il decreto sospeso venga riproposto facendo attenzione a trovargli un nome che non evochi le vicende di questi giorni. Si parlerà di accertamento sintetico che ha l’obiettivo di consentire al cittadino di riaffermare la propria ricchezza per metterlo a riparo dalle presunzioni del fisco.

Cosa insegna questa storia? Viene riaffermata la mancanza di autorevolezza della politica rispetto alle riforme e la subordinazione della stessa alla macchina burocratica che preferisce potenziare se stessa a scapito di obiettivi di efficienza. A ben vedere, dunque, alle riforme tutti preferiscono la strada dei bonus una tantum mediaticamente più spendibili. A oggi l’unico bonus che ha retto è quello Renzi sulle retribuzioni, che tuttavia Gualtieri prima e Meloni in prospettiva hanno aumento e provano ulteriormente ad aumentare per renderlo “nuovo” rispetto all’originale. D’altronde tutti dicono che sul Superbonus ha sbagliato il Ragioniere dello Stato nelle previsioni, sul Pnrr finché c’era sintonia tra Conte e Pd andava bene a tutti che era stato il Governo Conte 2 a mettersi la medaglia sul petto e ora esce fuori che le ingenti risorse sono arrivate grazie a un algoritmo. Per le riforme, dunque, occorrerà aspettare l’Intelligenza artificiale?

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