Quella approvata nella tarda serata di ieri dal Consiglio dei ministri è una legge di bilancio che aveva un destino segnato da tempo. Certo, ci sono ritocchi alla flat tax, alle pensioni, al reddito di cittadinanza, al cuneo fiscale. Piccoli interventi, segnali di cambiamento, non certo la svolta predicata in campagna elettorale dai partiti di centrodestra. È una manovra all’insegna della prudenza. E soprattutto che segue la scia tracciata da Mario Draghi negli ultimi mesi a Palazzo Chigi. È lui il vero artefice degli interventi per il 2023, quello che ha segnato la rotta e che ha garantito il “passaggio morbido” tra il governo tecnico e l’esecutivo politico di centrodestra.



Si poteva intravedere il percorso già la scorsa estate. Al Meeting di Rimini Draghi aveva detto che l’Italia ce l’avrebbe fatta con qualunque maggioranza: una chiara apertura di credito verso chi sarebbe venuto dopo di lui, a patto che s’inserisse nel solco. Il mese successivo il presidente del Consiglio si era prodigato per tranquillizzare le cancellerie europee, preoccupate per la sempre più probabile vittoria di Giorgia Meloni. La stessa nuova premier aveva scelto Bruxelles come meta del suo primo viaggio internazionale per presentarsi alla Commissione Ue e all’Europarlamento, e l’accoglienza era stata calorosa e priva di spigoli perché la Meloni aveva fatto intendere che non avrebbe stravolto la politica di bilancio del predecessore. Del resto, al dicastero dell’Economia si era insediato Giancarlo Giorgetti, uno tra i ministri più vicini all’ex presidente della Banca centrale europea.



Le premesse facevano intendere che il governo Meloni non avrebbe forzato la mano con Bruxelles. Le difficoltà dell’economia, aggravate negli ultimi mesi da un’inflazione che corre al galoppo, hanno tolto gli ultimi margini al centrodestra per marcare il terreno più profondamente. Le cifre lasciate dal governo Draghi nella prima Nota di aggiornamento al documento di economia e finanza sono state confermate. Le drammatiche condizioni della nostra finanza pubblica hanno consigliato di non forzare la mano con un eccesso di debito aggiuntivo. La tensione con Parigi sulla gestione dei migranti nel Mediterraneo ha tolto un po’ di potere contrattuale all’Italia. Così il governo Meloni si è ritrovato senza quella forza politica necessaria per contraddire le indicazioni europee e uscire dai binari impostati da Draghi.



Dai palazzi del potere europeo ieri non sono arrivati commenti particolari: ufficialmente si attende che la manovra sia scritta nero su bianco. Bruxelles non commenta le indiscrezioni, anche perché il confronto tecnico tra i partiti è proseguito fino all’ultimo per limare le poste di bilancio e gli interventi. Ma in Europa si sapeva che la Meloni non avrebbe abbandonato la linea della prudenza nella sua prima manovra. Nel testo compaiono segnali di cambiamento, ci sono provvedimenti che indicano una strada più che imboccarla con decisione. Si capisce che si interverrà sul reddito di cittadinanza, ma con estrema gradualità. Verrà modificato il sistema pensionistico, ma con cautela. L’estensione della flat tax, l’intervento sul cuneo fiscale e la detassazione delle assunzioni di giovani sono soltanto assaggi di quella riforma del sistema tributario preannunciata negli scorsi mesi. Per vedere davvero “qualcosa di centrodestra” bisognerà aspettare ancora, sempre che il contesto internazionale e la ripresa della nostra economia lo consentiranno.

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