Nella partita verso l’elezione del nuovo presidente della Repubblica entrano in campo giocatori finora assenti, o quantomeno rimasti dietro le quinte. Sono quelli che sbrigativamente chiamiamo “poteri forti”, e che in quanto tali non è che contino poco, anzi. In quanto forti si fanno valere, ma di solito si muovono nell’ombra, applicando quella “moral suasion” che spesso viene attribuita come unico vero potere in mano all’inquilino del Quirinale. Ora invece, a poco più di un mese e mezzo dalla convocazione dei grandi elettori a Camere riunite, un articolo del Financial Times sponsorizza la permanenza di Mario Draghi a Palazzo Chigi. Il titolo (di prima pagina) è distaccato: “Il dilemma dell’Italia mentre Mario Draghi emerge come favorito per la presidenza”. Enigmatico come una sciarada della Settimana Enigmistica. Per fortuna il concetto viene chiarito dal sommario: “La prospettiva che l’ex capo della Bce si faccia da parte come primo ministro rischia il ritorno dell’instabilità politica”.



I mercati finanziari vogliono dunque che Supermario resti a gestire in prima persona i soldi del Pnrr e l’iter delle riforme perché sembra “l’unico che può tenere a bada questa situazione”, cioè una maggioranza di governo larga, eterogenea e litigiosa, anche se lo stesso FT deve ammettere sconsolato che la presenza taumaturgica dell’ex banchiere è comunque destinata a esaurirsi nell’arco di un anno e “alla fine i partiti dovranno assumere la gestione del piano Next generation Eu che hanno votato in Parlamento”.



Va ricordato che il quotidiano britannico ha una certa vicinanza con Draghi: sulle sue pagine comparve il 25 marzo 2020 un lungo articolo in cui l’ex presidente Bce spiegava cosa dovevano fare le economie mondiali per fronteggiare il Covid. Un testo che sembrava un programma di governo: in esso l’attuale premier scriveva per esempio che “livelli di debito pubblico molto più elevati diventeranno una caratteristica permanente delle nostre economie e andranno di pari passo con misure di cancellazione del debito privato”.

Chi dunque i poteri finanziari vedrebbero bene al termine del settennato di Sergio Mattarella? Il giornale cita i lunghi applausi ricevuti dal presidente alla prima della Scala a Milano. Nell’ovazione si sono mescolati i consensi ai concertisti e quelli all’illustre spettatore, compresi gli inviti a concedere il bis. La grande stampa nostrana, unendosi al coro di chi (Pd in testa) spinge Mattarella a restare un altro po’, accredita la versione che quell’impellicciata platea d’élite rispetti il sentire dell’Italia intera. In realtà quei battimani, oltre che di incoraggiamento, potevano anche essere di commiato e riconoscenza per il mandato giunto al termine. Ma tant’è.



Altro nome “in campo” citato dal FT è quello di Silvio Berlusconi. Il quale continua a darsi un gran daffare. Un sondaggio lo dà al secondo posto nel gradimento popolare dietro a Draghi e davanti al bis di Mattarella. Non passa giorno che l’ex premier tenti un avvicinamento ai grillini, almeno a parole, ricambiato da estatici complimenti di Giuseppe Conte. Addirittura si mormora che Berlusconi abbia chiesto a Gianni Letta di sondare la disponibilità del nipote Enrico a un incontro. Sarebbe clamoroso. L’ex premier comunque ci crede e il “fattore B” potrebbe diventare una presenza ingombrante per i giochi quirinalizi. Più si liquida il fitto lavorio berlusconiano come l’utopia senile di un magnate che non può più permettersi altri svaghi, più si rischia di sottovalutare l’operazione Colle messa in atto dal Cav. In fondo non mancano tantissimi voti al mago delle campagne acquisti.

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