È come in Borsa: le azioni dei singoli protagonisti della corsa al Quirinale salgono e scendono. Basta una dichiarazione a cambiare quasi tutto. Due le novità di ieri. La prima, quando Vittorio Sgarbi dichiara a “Un giorno da pecora” che la raccolta dei voti di Berlusconi “si è oggettivamente fermata”. Tajani lo smentisce, dando ancora più valore alle sue dichiarazioni.



Poi è la volta di Salvini. Dopo l’altolà di lunedì a Berlusconi (“la Lega farà una proposta convincente”) ieri il leader del Carroccio è tornato su Draghi. “I soldi del Pnrr sono a prestito: con questi problemi di energia la metà delle opere rimarrà sulla carta. Anche su questo bisogna essere molto attenti, anche per questo motivo il premier è complicato da rimuovere” da palazzo Chigi.



Infine è toccato alla Meloni: se Berlusconi rinuncia, così la leader di FdI, “il centrodestra ha il diritto e il dovere di avanzare una proposta e anche FdI intende fare la sua parte”. Oltre le dichiarazioni dei leader, il caso Berlusconi ha prodotto un effetto, forse non voluto, forse auspicato: “Draghi ha ripreso quota”, dice al Sussidiario Fabrizio d’Esposito, giornalista politico del Fatto Quotidiano. Ed è tornato in pole.

Partiamo dalla Meloni.

È stata accreditata per mesi come astro nascente della destra, ma ora aspetta gli eventi e va al traino di Salvini, che recita almeno tre parti in commedia.



Qual è la tattica?

La sua uscita di ieri su “Draghi complicato da rimuovere” conferma quello che ha scritto Verdini: vuole fare il king maker del primo presidente della repubblica di centrodestra. I nomi sono quelli che sappiamo: Pera, Moratti, Frattini, Casini… Ma c’è un problema.

Sarebbe?

Come ha fatto notare D’Alema, questa ostinazione su Berlusconi sta facendo riprendere quota a Draghi.

In che modo?

Nel momento in cui Berlusconi manifesta la sua debolezza, diventa chiaro, indipendentemente da lui, che il candidato reale, con più chances, è Draghi.

Potrebbe esserlo perfino dello stesso ex premier?

Questo è un punto dirimente, un dubbio che non siamo in grado di sciogliere.

Come stanno le cose dalle parti di Berlusconi?

Si sta rendendo conto di non poter arrivare a 505 voti, nonostante una trattativa pressante one-to-one. La chiave di volta sarebbe un endorsement di Renzi, che non ci sarà: Renzi dirà sì ad una proposta del centrodestra, ma non a Berlusconi.

Sgarbi è stato smentito da Tajani; questo avvalora la la sua dichiarazione?

Mi sembra tipico dell’ambiente berlusconiano: una miriade di agenti in campo, Gianni Letta, Confalonieri, Dell’Utri, Verdini… è tornato in campo perfino Lavitola. Un’apparente anarchia nella quale ognuno mette del suo, ma dove il pallino, alla fine, in un modo o nell’altro è nelle mani di Berlusconi.

Però la situazione non è più granitica come prima, si è sbloccata.

Io credo che Salvini sta procedendo a step per arrivare a Draghi.

Qual è il tuo scenario, sulla base delle ultime novità?

Sfilare Berlusconi per eleggere Draghi alla quarta votazione. Oppure lasciare che Berlusconi vada a schiantarsi; a quel punto il centrodestra potrebbe far balenare l’ipotesi di un suo candidato, che non passerà, perché i giallorossi diranno no ad un Pera, un Frattini o una Moratti.

E perché?

Penso che Enrico Letta abbia in mente solo il nome di Draghi. Senza contare che nel centrodestra c’è un problema in più: difficilmente Berlusconi accetterà un nome di centrodestra che non sia il suo.

A questo punto?

Due le soluzioni possibili. La prima è che ci si accorda su Draghi. La seconda è che Berlusconi – è un’ipotesi che circola nei 5 Stelle – pur di non dire sì a Draghi si schieri per un Mattarella bis. 

Cosa ti fa dire che Draghi potrebbe essere di nuovo la prima opzione?

È ricomparso il problema del governo. Eleggere Draghi alla quarta votazione vuol dire fare una trattativa e chiuderla con un accordo. Una settimana fa era inutile parlarne, perché Berlusconi era teoricamente forte mentre Draghi era ammaccato.

Un quadro completamente superato?

No. Rimane il fatto che con Berlusconi in campo o un altro per lui al Colle, Draghi al governo non ci resta.

Da cui la necessità che guidi il Pnrr, eccetera.

Esatto.

E a quali condizioni Draghi resterebbe a Chigi?

Vi resterebbe sicuramente con Mattarella. Non con Amato; il 20 dicembre, in occasione dello scambio di auguri con le alte cariche, Draghi lo ha salutato in maniera molto gelida.

In ogni caso, Salvini dice da tempo che sarebbe meglio se Draghi restasse al governo.

Sì, ma ieri non ha detto solo questo. Ha aggiunto: “non sono padrone dei destini altrui”. Cioè se Draghi si presenta, lo votiamo. Non dimentichiamo che uno dei ministri leghisti più vicini a Draghi è Giorgetti.

Perché Letta e Conte non riescono ad esprimere una candidatura unitaria?

Perché sono divisi dall’obiettivo: Letta coltiva in cuor suo l’opzione Draghi, non disdegnando l’opzione Mattarella bis. Mentre Conte, per non perdere settanta voti M5s nel voto su Draghi, è costretto a dire che non lo vuole. Ed è ovvio che in questa situazione Letta deve proteggere Draghi.

E Conte?

Ha bisogno di rilanciarsi proponendo un candidato di bandiera che rappattumi il gruppo dei 5 Stelle allo sbando. C’è da dire che con la sua sentenza (“più leader di governo, che capo di un partito”, ndr), Bettini gli ha scritto l’epigrafe.

Di Maio?

Sta facendo una partita di establishment. Gli va bene la soluzione che gli consente di mantenere la poltrona di governo e magari di sognare qualcos’altro.

Nel Pd che ruolo sta avendo Base riformista?

Il vero capo-corrente, Guerini, può essere un alleato di Letta nel portare Draghi al Quirinale. Base riformista non è contraria, però sono democristiani e per questo possono cambiare idea in qualsiasi momento. 

Franceschini?

Gioca una sua partita personale. La sua posizione è emblematica dell’ipocrisia e della strumentalità intorno al nome di Draghi. Per mesi Franceschini si è fatto portavoce delle proteste dei ministri perché Draghi faceva approvare i provvedimenti in Cdm passando sopra le loro teste. Adesso invece il suo unico obiettivo è blindare Draghi al governo, sperando che così si liberi per lui uno spazio ancora più in alto.

No comment?

In questa situazione sarà difficile per il centrodestra imporre un candidato, per il centrosinistra è praticamente impossibile.

Che peso dare ai “suggerimenti” della grande stampa internazionale, da ultimo il New York Times?

Siamo in una perfetta logica mainstream. L’operazione-Draghi è una operazione di sistema, paragonabile alla rielezione di Napolitano: nel crepuscolo berlusconiano, il presidente era diventato il primo interlocutore dei capi di Stato esteri e il garante dell’equilibrio politico.

E Draghi?

Con Draghi al Colle, questo il ragionamento, il sistema potrebbe sopportare anche la botta di una vittoria delle destre alle politiche.

(Federico Ferraù) 

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