Il messaggio che esce dal vertice del centrodestra di ieri è sostanzialmente uno: che la coalizione è unita e marcia compatta verso il voto del 24 gennaio. L’indicazione è per il nome di Silvio Berlusconi, ma l’ufficialità della candidatura ancora non c’è. Sarà il Cavaliere a sciogliere la riserva, e i leader riuniti ieri a Villa Grande (oltre allo stesso Berlusconi, padrone di casa, c’erano Salvini, Meloni, Brugnaro, Cesa e Lupi più Tajani e Gianni Letta) l’hanno invitato a farlo al più presto. Non più tardi di ieri Repubblica apriva il giornale con il seguente titolone: “Colle, destra divisa”. E il Fatto Quotidiano faceva eco parlando di “ricatti” di Berlusconi.
Il tentativo di inserire un cuneo nella coalizione è evidente. Da giorni si rincorre a sinistra il tam tam della “vergogna” di Salvini e Meloni, di imbarazzi e incertezze, di una caccia alla prima occasione buona per scaricare l’ingombrante “signore del bunga bunga” (pare che il Cav si presenti così, scherzosamente, ai grandi elettori cui telefona per chiedere il voto). Dipingere il centrodestra come un pugile all’angolo sul punto di gettare la spugna tradisce l’impotenza del Pd e del M5s, che fino a questo momento hanno soltanto giocato di rimessa e appaiono molto più in difficoltà. Più che auspicare una figura di alto profilo istituzionale e “super partes” non sono riusciti a fare. Finora il pallino è sempre stato in mano al centrodestra, che piazzando Berlusconi al centro del dibattito tiene i giochi bloccati e soprattutto mantiene la propria compattezza interna.
Prima che una “operazione Silvio” o una “operazione scoiattolo”, quella del centrodestra è una strategia per dire agli altri partiti che la coalizione è coesa e i tentativi di romperla sono destinati a fallire. Il dialogo è aperto con tutti, anche con quelli pregiudizialmente ostili al leader di Forza Italia, e un particolare lo sottolinea: a parlare con i giornalisti al termine del vertice è stato mandato un moderato e uomo del confronto a tutto campo come Maurizio Lupi. Al quale il Pd ha risposto con un comunicato contro la candidatura divisiva dell’ex presidente del Consiglio.
Il fatto è, tuttavia, che la candidatura ancora non c’è. Berlusconi sta ancora sondando il terreno, si sta impegnando a fondo nel tentativo di scalare il Colle ma non ha ancora scoperto le carte. Di sicuro vuole restare sulla scena fino all’ultimo, almeno per impedire mosse degli avversari. E soprattutto per essere lui a fare il nome per il Quirinale sul quale possa convergere una maggioranza ampia o, per dirla con Enrico Letta, un “campo largo”. Questo è il vero interrogativo: se e quando Silvio farà il passo indietro, a chi può lasciare il posto?
Di sicuro a una persona di fiducia. Da giorni cresce sui giornali il nome di Gianni Letta. Il più antico e fedele consigliere di Berlusconi era presente ieri a Villa Grande, e a conclusione del summit è stato visto entrare a Palazzo Chigi. La candidatura di Letta zio potrebbe facilitare la convergenza di Letta nipote. Ma l’ex sottosegretario alla presidenza del Consiglio è ancora più vecchio di Berlusconi e non ha un profilo istituzionale. Cosa che invece può vantare Elisabetta Casellati: seconda carica dello Stato, eletta anche con i voti dei grillini, donna. E fedelissima del Cavaliere. Che sia lei la sua carta coperta?
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