Solo gli sprovveduti pensano che in politica i numeri non contino. I numeri sono tutto, specie in passaggi complicati come l’elezione di un Capo dello Stato in Italia. E allora per ragionare del Quirinale prossimo venturo, data per acquisita l’indisponibilità di Mattarella al bis, bisogna partire da numeri che parlano chiaro: nessuno schieramento ce la può fare da solo. Nei primi tre scrutini, quando servono 673 voti su 1008 grandi elettori, solo un accordo ampio e trasversale può portare alla fumata bianca. E oggi di una simile intesa non s’intravede neanche l’ombra.
Diventa necessario ragionare su quel che potrebbe accadere dalla quarta votazione in poi, quando basteranno 505 voti, la maggioranza assoluta. A quel punto avremo un centrodestra in vantaggio, con 450 voti (voto più, voto meno), rispetto all’alleanza giallorossa, stimata intorno ai 420 voti. Già questa è una novità storica. In mezzo circa 130 consensi che potrebbero rivelarsi decisivi. Un’ottantina sono voti “in libertà”, appartenenti a quella vasta area dei transfughi, in massima parte ex parlamentari grillini, mentre il gruppo in apparenza più compatto è rappresentato dai 43 deputati e senatori di Italia viva.
Basta questo elementare ragionamento sui numeri per comprendere la ritrovata centralità di Matteo Renzi, che probabilmente già si immagina nella veste di king maker del prossimo Presidente della Repubblica. E la voce che circola da tempo è che l’ex premier sia tentato di sommare i suoi voti a quelli del centrodestra: se i moderati fossero compatti mancherebbero una manciata di consensi per determinare l’elezione di un candidato gradito, un Casini, o addirittura un Berlusconi, tanto per fare qualche esempio.
Le cose sono in realtà molto più complesse, perché per Renzi non è facile immaginare il salto della barricata, al punto che si parla di fibrillazioni fra le fila di Italia viva, con la voce, accreditata soprattutto da un giornale nemico come Repubblica, di una decina di parlamentari pronti ad abbandonare la nave. Voci che il leader ha cercato in ogni modo di smentire, assicurando di essere orgogliosamente contro il populismo sovranista, così come contro il populismo grillino. Niente accordi, insomma, né con la Lega, né con i 5 Stelle. Fra una settimana, alla “Leopolda”, forse si capirà qualcosa di più, tanto sulle intenzioni di Renzi, quanto su quelle dei suoi parlamentari.
Ad accrescere i malumori pare sia stato il pressing giudiziario intorno all’ex sindaco di Firenze e alla sua Fondazione Open, oltre che ai soldi dall’estero. Una campagna di stampa, guidata dal Fatto Quotidiano, cui Renzi ha risposto con un rabbioso preannuncio di querela.
La situazione in cui si trova il capo di Italia viva è ben riassunta da Carlo Calenda: “C’è il tentativo di mettere Renzi all’angolo prima dell’elezione del Quirinale, e un paese così mi fa abbastanza schifo”. Per Calenda se l’accusa è quella di aver cercato di influenzare i giornali per guadagnare popolarità agli occhi di determinate fasce di popolazione, dello stesso reato dovrebbero rispondere tutti i politici italiani, “a partire da Salvini”.
La durezza dell’attacco portato a Renzi fa intuire che in gioco c’è molto altro, oltre al Quirinale. C’è il ridisegnarsi possibile delle alleanze, in vista delle politiche del 2023 (o del 2022, se le cose dovessero precipitare). E in questo senso va registrato l’allargamento del solco fra Italia viva e il resto della coalizione di centrosinistra. Con M5s la polemica è aperta, con l’ostilità dichiarata al reddito di cittadinanza, ricambiata dal veleno di Di Maio (“Renzi si crede il Re Sole”). Ma non è che con il Pd le cose vadano poi meglio, e l’accusa di aver giocato malamente la partita del Ddl Zan è solo l’ultimo motivo di polemica.
Difficile immaginare Italia viva alleata di Pd e M5s alle amministrative di primavera, ma rimane ancora più arduo immaginare un rapporto con il centrodestra. Resta allora la sfida centrista e liberale: il tentativo di coagulare quel consenso oggi sparso fra Azione di Calenda, Più Europa della Bonino e Coraggio Italia di Toti e Brugnaro. A quel punto l’interlocutore numero uno diventerebbe Silvio Berlusconi. E l’obiettivo reterebbe più che mai quello di rappresentare l’ago della bilancia fra i due blocchi. La ricerca del centro perduto continua.
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