Siamo sicuri che a Palazzo Chigi abbiano il controllo della situazione? È una domanda che sorge spontanea, dopo la nuova conferenza stampa del presidente del Consiglio. Certo, l’avvocato del popolo è molto migliorato, almeno per quanto riguarda la puntualità e la pacatezza che tenta di trasmettere. Ma il dubbio che assale è se Giuseppe Conte abbia idea di come organizzare la prosecuzione dell’emergenza e, soprattutto la fase di uscita dalle misure draconiane che tutti i cittadini italiani stanno stoicamente sopportando.



Era atteso un prolungamento delle restrizioni sino al 18 aprile, e invece il limite è stato anticipato di 5 giorni, al 13, giusto per impedire i picnic di Pasquetta. Se questo anticipo è stato deciso per via del miglioramento dei dati, si rischia di commettere errori fatali. Due ore prima della conferenza stampa di Conte dalla Protezione civile sono venuti numeri tutt’altro che rassicuranti. Non un’impennata, ma neppure quel deciso calo che potrebbe autorizzare un’accelerazione nell’uscita dall’emergenza.



Due sono i casi. O a Palazzo Chigi si punta a unta strategia dei piccoli passi per indorare la pillola ben sapendo che si andrà oltre (e sarebbe meschino), oppure, se si spera davvero di dare avvio alla “fase due” della ripresa dal 14 aprile, si corre il rischio di provocare una seconda ondata epidemica. La Germania, tanto per fare un’esempio, ha già prorogato il blocco sino al 19 aprile. Fra gli esperti la prima data realistica sino a ieri era considerata lunedì 4 maggio, anche per impedire che altre due festività come 25 aprile e Primo maggio si possano trasformare in bombe sanitarie.



Solo pensando a fortissime pressioni dal mondo economico si può giustificare il messaggio venuto dal governo: la fine delle restrizioni è vicina. Del resto, di simili pressioni ci sono tracce in abbondanza, a cominciare dalla lista delle industrie costrette a chiudere che è risultata alla fine assai più corposa di quella sottoposta ai sindacati. E proprio ieri la potentissima Unione Parmense degli Industriali ha rivolto un appello pubblico al presidente Mattarella per riaprire il prima possibile.

Intendiamoci: non siamo in grado di dire se la stima di 0,75 punti di Pil per ogni settimana di chiusura venuta dalla Confindustria sia realistica. I danni all’economia sono e saranno spaventosi. Si pensi al -85% di immatricolazioni di vetture a marzo per capire. Se però la ripresa delle attività economiche la decidono gli industriali e non un governo in grado di contemperare le esigenze degli imprenditori con quelle della salute pubblica, allora vuol dire che siamo in presenza di un esecutivo debole e facilmente condizionabile. Tutto il contrario di quanto serva al paese per la ricostruzione post-bellica, pardon post-epidemica.

Sia chiaro: tutti i protagonisti della politica, tanto di maggioranza quanto di opposizione, hanno la piena consapevolezza che sino alla fine dell’emergenza nulla può cambiare nell’assetto del governo. Sarebbe troppo pericoloso, e quindi nulla cambierà. Ma questa situazione avrà breve durata. Ha un bel dire Conte che nelle due settimane scarse che ci separano dal 13 aprile si comincerà a pianificare la riaccensione del motore produttivo dell’Italia. Il governo da lui guidato sembra procedere a tentoni, non avere alcuna idea della direzione da prendere. Nelle altre nazioni, europee e non, le cose sembrano andare diversamente.

La spinta a cambiare rotta potrebbe venire proprio da quel mondo produttivo che preme con tanta insistenza su Palazzo Chigi. C’è però uno solo protagonista della politica che può passare all’azione. Non i 5 Stelle, la cui totale inconsistenza è apparsa chiara in questa crisi. Neppure il Pd, per cui sarebbe troppo doloroso prendere l’iniziativa di chiedere il supporto del centrodestra per un governo di ricostruzione nazionale. Solo Matteo Renzi potrebbe muoversi, innescando il rimescolamento delle carte. La sua uscita sulla riapertura delle fabbriche tradisce rapporti stretti proprio con quel mondo economico che preme sulla politica.

Se al Quirinale si ragiona ritenendo la difesa dello status quo la prima delle ipotesi, il piano B, lo sanno tutti, esiste. Si chiama Mario Draghi. Molti dipende da Renzi.

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