Il generale Natale sembra costituire un alleato formidabile della tessitura di un’intesa per arrivare a una soluzione condivisa per il Quirinale. All’improvviso i toni si sono abbassati, e il rosario dei nomi papabili viene sgranato quasi esclusivamente dai giornali. I protagonisti, quasi tutti, usano toni felpati e vaghi. Immaginare che, schermato da scambi di auguri, prove tecniche di dialogo siano in corso non appartiene affatto alla fantapolitica.
Sino all’antivigilia era stato un turbinio di vertici, contatti e interviste. Intenzioni espresse in maniera bellicosa, tipo “saremo compatti”. Cortine fumogene, essenzialmente, necessarie a marcare il territorio, a posizionarsi per quando il confronto entrerà nel vivo. Il centrodestra si era riunito attorno a Berlusconi: Letta e Conte si erano scambiati segnali di intesa, per arrivare a una proposta comune.
Il confronto entrerà nel vivo solamente con l’anno nuovo, quando, il 4 gennaio, il presidente della Camera Fico convocherà il parlamento in seduta comune. E secondo le ultime voci si potrebbe cominciare a votare solo lunedì 24 gennaio, per smaltire almeno in parte l’ingorgo di decreti legge in scadenza, indispensabili per governare la pandemia.
Dopo l’Epifania il centrodestra tornerà a riunirsi, e valuterà la situazione. Il 13 gennaio Enrico Letta riunirà la direzione democratica e i gruppi parlamentari. I giochi veri cominceranno allora. Farli prima, come suggeriscono i vecchi squali del Transatlantico, come Paolo Cirino Pomicino, vorrebbe dirli esporli all’usura di troppi giorni di attesa prima di poterli concretizzare.
Ci sarà un primo nodo da sciogliere: la posizione di Mario Draghi. E ogni discussione dovrà partire da lì. È più utile che resti premier o che traslochi al Quirinale? Come garantire, in entrambi i casi, la prosecuzione dell’attività di governo e quindi che la legislatura arrivi alla sua conclusione naturale? Sciogliere questi nodi sarà decisivo per arrivare a soluzioni condivise, in grado di non mandare in frantumi la maggioranza che sorregge l’attuale esecutivo. È stato lo stesso Draghi a porre la questione nella conferenza stampa di fine anno, in maniera brusca e poco politica, ma estremamente chiara.
Parlare d’altro, prima di aver risposto a queste domande, vuol dire non aver presenti né il quadro, né la posta in gioco. E se lo fa un leader, significa che sceglie una posizione forzatamente laterale rispetto al fulcro della scena. Ha dato questa impressione Giuseppe Conte, quando per aprire le danze ha lanciato l’idea di una donna al Quirinale, con tanto di ipotesi annesse: Paola Severino, Letizia Moratti, Elisabetta Belloni, ma senza preclusione anche rispetto ad altri due nomi, Marta Cartabia e Maria Elisabetta Alberti Casellati.
L’uscita di Conte, supportata da numerosi esponenti 5 Stelle, è sembrata un modo di parlare d’altro, anche per esorcizzare il fantasma ingombrante di Silvio Berlusconi, boccone indigeribile per i pentastellati. È sembrata anche una maniera di tenere unita una galassia fragile e litigiosa, che con i suoi oltre 230 grandi elettori, uno su quattro, rimane il gruppo più numeroso del parlamento.
Difficilmente, però, la pregiudiziale di genere aiuterà a dipanare la matassa del Colle. Potrebbe essere un colpo d’immagine e un segno dei tempi, ma non è affatto detto che da solo risolva l’enigma della stabilità che ruota intorno al nome di Draghi. Se Conte intende entrare nell’agone in questo modo, si condanna a poter dire sì o no a soluzioni immaginate da altri. D’altronde, tutti i leader dovranno fare i conti con la compattezza dei propri gruppi, visto che il voto segreto da sempre riserva sorprese.
Non è solo una questione di metodo condiviso, come insistono i democratici. La risposta piccata della forzista Elvira Savino lo spiega bene: il metodo non può mascherare i rapporti di forza per una volta a favore del centrodestra. Qui la questione è di sostanza, perché nessuno può fare da solo, non di mera forma. Ma se non si realizza un accordo ampio nelle prime votazioni, quando serve la maggioranza qualificata, dal quarto scrutinio si entra in un vortice oscuro da cui può uscire qualunque soluzione.
Ecco perché c’è da augurarsi che nei giorni natalizi il dialogo avvicini le posizioni. Di tutto ha bisogno l’Italia, fuorché trasformare in un passaggio lacerante l’elezione del successore di Mattarella. Lacerante e destabilizzante.
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