Si apre una settimana decisiva per la politica…. No, scusate. L’attacco standard di tanti punti politici di inizio settimana mai come questa volta è fuori luogo. A meno di colpi di scena davvero clamorosi e imprevedibili la settimana si concluderà con in sella lo stesso governo con cui è cominciata. Certo, lo spettacolo sembra destinato a non mancare fra l’informativa di Conte al Parlamento di martedì e il Consiglio europeo di giovedì, ma la sostanza non è destinata a cambiare.



Da una parte c’è la tattica di un presidente del Consiglio che si rivela abile manovratore sul breve termine e derubrica il passaggio parlamentare a semplice comunicazione, su cui ci si potrà accapigliare fin che si vuole, ma non si voterà, evitando di mettere in difficoltà la coalizione che lo sostiene. E tattica è anche la scaltra marcia di avvicinamento al tavolo dei capi di Stato e di governo dei 27, dove il no italiano al MES appare ogni giorno meno granitico. Il premier ha già spiegato come altri paesi favorevoli agli Eurobond non vedono male che fra gli strumenti dell’Unione vi sia anche il MES light. Ha messo le mani avanti, insomma, preparandosi a un si italiano, probabilmente con il contestuale annuncio che per ora Roma non ha intenzione di utilizzare questo strumento. Per ora, appunto. Un domani si vedrà.



Certo Conte si fa precedere da continue interviste ai media stranieri, tedeschi in primo luogo, per ribadire che all’Europa i titoli di debito comuni servono. Ultima in ordine di tempo la influente Suddeutsche Zeitung, cui ha ricordato che il MES ha una brutta fama, e fa venire in mente la Grecia e la troika. Potrà quindi alzarsi dalla videoconferenza del 23 aprile dicendo che il MES sottoscritto è cosa ben diversa da quello che mise in ginocchio Atene, offrendo anche lo spazio per una conversione a U ai 5 Stelle che del no al MES hanno fatto una bandiera, e avranno modo di rientrare.

C’è poi l’aspetto strategico, l’orizzonte che supera la settimana. E qui casca l’asino. Di strategia se ne vede ben poca nelle mosse del governo, e forse non c’è. L’economia ha subito un colpo da KO, ma i soldi promessi arrivano con il contagocce, la strategia per riavviare il motore produttivo del paese non si vede ancora, mentre il 4 maggio si fa sempre più vicino.



L’inadeguatezza dell’esecutivo è evidente. Il proliferare della task force di tecnici ed esperti per ogni settore suona come una specie di autodenuncia. inevitabile in questo clima l’esplodere del toto premier, con in pole position Mario Draghi, seguito a distanza da Marta Cartabia, Vittorio Colao e Fabio Panetta. Se uno navigato come Pierferdinado Casini si spinge a pronosticare al massimo un paio di mesi di vita per l’esecutivo, la situazione è complessa.

Da Mattarella, però, è arrivato un altolà domenicale attraverso le parole di alcuni dei più influenti quirinalisti, concordi nel riferire di un no alle crisi al buio. Far trapelare questo messaggio significa, anzitutto, certificare che il rischio dello sfaldamento della maggioranza è più reale di quanto non si pensi. Allo stesso tempo indica la consapevolezza delle difficoltà del governo in questa fase. Soprattutto, dal Colle si denuncia il rischio che sia impossibile rimettere insieme i cocci, in caso di caduta di Conte. Si rischierebbe di scivolare verso elezioni che sarebbe persino complicato organizzare.

E allora, avanti con il governo che c’è, almeno sino a quando non ci sarà un fatto nuovo. O un incidente, o un accordo alto fra i leaders politici per gestire insieme la fase 3. Un accordo blindato, però, di cui il Quirinale prenderebbe atto. Con più o meno sollievo, poco conta. Mattarella non è Napolitano, una riedizione dell’operazione Monti è da escludere. Tocca alla politica battere un colpo, ma vedere Zingaretti, Salvini, Berlusconi e Meloni salire al Colle per indicare il nome di un Draghi appare francamente improbabile, oggi almeno.

L’emergenza gioca quindi a favore della permanenza a Palazzo Chigi di Conte. Per lui è insieme l’occasione della vita e un rischio colossale. Al “Giornale” ha detto che la ricostruzione spetta alla politica, non ai tecnici. Si quindi a governi politici che ci mettano la faccia, e dovranno rispondere e agli elettori. La faccia è la sua: se le cose andranno male la responsabilità sarà in massima parte sua.

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