Il 2 febbraio scorso aveva citato Mario Segni nei 130 anni dalla nascita. Ieri ha rievocato un altro suo predecessore, Giovanni Leone, a 20 anni dalla morte. Il senso dei discorsi di Sergio Mattarella è però sempre lo stesso: non intende essere rieletto. Segni (nel 1963) e Leone (nel 1975) avevano entrambi suggerito al Parlamento di togliere dalla Costituzione il semestre bianco e di inserirvi l’ineleggibilità immediata al Quirinale del presidente in carica. I sei mesi a poteri ridotti servono infatti a fugare i sospetti, come disse Segni, che “qualche atto del capo dello Stato sia compiuto al fine di favorirne la rielezione”. Una volta disposta la non rieleggibilità, si potrà anche restituirgli il potere di sciogliere il Parlamento negli ultimi mesi del mandato.
L’insistenza di Mattarella nel negare ogni possibilità di bis sembra spianare la strada a Mario Draghi. Ma il capo del governo ha già posto la sua condizione, rivelata da uno dei ministri a lui più vicini, cioè Giancarlo Giorgetti: lo ha fatto nella famosa intervista che fece infuriare Salvini. Giorgetti ha detto che non sarebbe così ardito ipotizzare che Draghi possa gestire la transizione stando al Quirinale invece che a Palazzo Chigi. Questo non significa, come qualcuno ha frettolosamente concluso, che presidenza della Repubblica e del Consiglio possano sommarsi: vuol dire semplicemente che il governo dovrebbe essere preso in mano da fedelissimi dell’attuale premier: o Daniele Franco, attuale ministro dell’Economia, oppure dallo stesso Giorgetti. Opzione privilegiata, quest’ultima, perché terrebbe legato al governo un Salvini costretto a non prendere più troppo le distanze.
A parte il leader leghista, da altri due fronti si sono levate critiche agli scenari disegnati da Giorgetti. Il primo a reagire è stato Silvio Berlusconi per il quale Draghi deve restare a Palazzo Chigi. Il Cavaliere, da sempre sostenitore dell’ex presidente Bce (Draghi andò a Francoforte nel 2011 proprio con Berlusconi al governo), si sente in obbligo di spalleggiare l’attività del premier. Non può dire che Draghi non va bene. Ma soprattutto il leader azzurro continua a coltivare il sogno proibito di prendere il posto di Mattarella.
L’altro fronte che tifa perché Draghi rimanga dov’è è quello del Pd, che sa di essere meno coeso del centrodestra nel proporre nomi. Enrico Letta punterebbe a un fronte comune con il M5s, ma il movimento grillino è sempre più polverizzato e nessuno sembra in grado di prenderne le redini e compattarlo in vista del voto per il Colle. I 5 Stelle hanno già bocciato l’ipotesi Gentiloni e sono talmente divisi che non appaiono nelle condizioni di offrire una sponda attendibile, con Giuseppe Conte incapace di prendere un’iniziativa e Luigi Di Maio che rilancia le quotazioni di Draghi verso il Colle. Al contrario, il centrodestra potrebbe trovare, strada facendo, un appoggio di Italia viva.
In sintesi, ognuno con parole e motivazioni diverse, sia Forza Italia sia il Pd lavorano contro l’ascesa di Draghi al Quirinale. Un’opposizione dentro la maggioranza che appare perfino più destabilizzante delle prese di posizione di Salvini.
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