Silvio Berlusconi è stato costretto a un nuovo ricovero all’ospedale San Raffaele. Stavolta la permanenza è stata più breve che in passato, meno di 24 ore, per fortuna del Cavaliere. È stato fatto notare che i controlli sono avvenuti a ridosso dell’udienza del processo Ruby ter, già rinviata a causa di precedenti ricoveri ospedalieri dell’ex premier. Le repentine dimissioni hanno fugato i dubbi, almeno per ora, riguardo al fatto che il ricovero fosse influenzato anche da motivi opportunistici. Magari il leader di Forza Italia intende presentarsi al processo nelle migliori condizioni di salute.



L’appuntamento con i giudici non si preannuncia tanto facile. Pare che gli avvocati non siano eccessivamente ottimisti. Ma Berlusconi ha fiutato che il sentimento collettivo nei confronti della magistratura non è più quello di qualche anno fa. L’ex pm Luca Palamara sarà un personaggio discusso, ma nell’opinione pubblica le sue rivelazioni hanno avuto l’effetto di incrinare l’immagine immacolata di cui le toghe hanno goduto per tanti anni. Dopo il caso Palamara, non si può più escludere a priori che certa magistratura usi la legge per fare politica, che è la tesi da sempre agitata da Berlusconi.



Uscire indenne da questo procedimento rafforza nel Cavaliere anche la speranziella di poter legittimamente aspirare al Quirinale. Dalla speranza all’illusione, il confine spesso è labile. Tuttavia Berlusconi ha qualcosa dalla sua parte. Per la prima volta dai tempi di Mani pulite, nessuno dei due storici blocchi parlamentari (centrodestra e centrosinistra) è in grado di eleggere da solo il nuovo capo dello Stato: occorre un accordo tra le parti. Matteo Salvini e Giorgia Meloni hanno detto che il loro candidato è Silvio Berlusconi. E i numeri dicono che non si tratta di una candidatura di bandiera.



La Costituzione e gli attuali equilibri tra i partiti dicono anche che il Quirinale non è semplicemente il coronamento di una carriera politica: è il vero baricentro del potere oggi in Italia. La narrazione mainstream ripete che la stanza dei bottoni si trova a Palazzo Chigi, e che Mario Draghi non ambirebbe subito al Quirinale perché da presidente del Consiglio gestirebbe un potere maggiore. Non è del tutto così. Draghi è a Palazzo Chigi perché ce l’ha voluto e messo Sergio Mattarella. Ed è il capo dello Stato a fargli da parafulmine tenendolo al riparo dalle tempeste che quotidianamente scoppiano tra i partiti e i parlamentari.

Si dice che Draghi sia il garante dell’attuazione del Pnrr presso le cancellerie europee: errore, il garante vero è Mattarella. Si dice anche che l’attuale inquilino del Colle sia stanco e non veda l’ora di ritirarsi a fare il nonno, ma che in fondo non gli dispiacerebbe se i partiti si prostrassero davanti a lui come fecero sette anni fa con Giorgio Napolitano implorando un prolungamento del mandato. Si dice infine che Draghi non ne possa più di passare le giornate a ricucire i litigi tra i partiti e che il suo vero obiettivo sia proprio quello di trasferirsi subito al Quirinale, in modo da vestire i panni del garante più che del capo operativo.

Mattarella ancora al Colle almeno per un paio d’anni, Draghi ancora a Palazzo Chigi per attuare il Pnrr secondo i voleri europei, i partiti a cuccia come entusiasti portatori d’acqua: questa è la narrazione più accreditata. Mancano 5 mesi a quando il Parlamento allargato voterà il nuovo presidente e incognite sempre più pesanti si addensano su questo disegno.