È stato il più lesto Matteo Salvini: annunciando che da oggi chiamerà tutti i leader di partito, dai più consistenti ai più piccoli, ha ufficialmente aperto i giochi per il Quirinale. Il leader leghista ha bruciato sul tempo Giuseppe Conte, che giusto poche ore prima aveva spiegato che si sarebbe mosso dopo il varo della legge di bilancio, in quanto capo del partito di maggioranza relativa.



Salvini intende rubargli il pallino in nome del suo ruolo di guida della coalizione di maggioranza relativa, il centrodestra. E già questa competizione con l’ex premier di cui è stato vice promette scintille. In realtà, il successore di Bossi ha preso la palla al balzo da quella sorta di investitura che era venuta da Matteo Renzi, il primo a riconoscere come per la prima volta i numeri parlamentari consegnino al centrodestra il ruolo di king maker del futuro capo dello Stato. Sempre a patto che la coalizione moderata questo ruolo sia in grado di svolgerlo, rimanendo compatto.



Riconoscendo al centrodestra questo ruolo, per di più, il fondatore di Italia viva si candida a interlocutore privilegiato in una contesa in cui nulla può essere dato per scontato. E Salvini, nel rivendicare il ruolo di regista di questa fase politica, si gioca moltissimo: dovesse riuscire a tessere la tela di una larga maggioranza, ne uscirebbe rilanciato. In caso contrario, se il dialogo largo dovesse fallire, il suo ridimensionamento sarebbe inevitabile, con conseguente consegna dello scettro dell’area moderata a una sempre più scalpitante Giorgia Meloni.

Chi di sicuro faticherà a contrastare le pretese di Salvini a farsi protagonista della scelta del prossimo presidente della Repubblica è, invece, Conte. L’aver adombrato il ricorso a una consultazione online degli iscritti al Movimento 5 Stelle ne riduce drasticamente le sue capacità di manovra. I precedenti giocano, infatti, totalmente a suo sfavore: dalle “quirinarie” del 2013 e del 2015 uscirono due nomi talmente eccentrici da tagliare fuori completamente i grillini da qualunque trattativa. Erano quelli di Stefano Rodotà e di Ferdinando Imposimato.



Dati questi elementi, oggi Enrico Letta dovrebbe mettersi l’anima in pace su un punto: appare fortemente improbabile che il prossimo inquilino del Quirinale possa essere un iscritto del Pd. Quindi niente Gentiloni, o Veltroni, o chi per loro. È il prezzo minimo che il centrodestra chiede e che saprà certamente strappare, se riuscirà a rimanere unito. Che non ci siano possibilità per un democratico sembra, peraltro, uno dei pochissimi punti su cui Salvini e Meloni parlano la stessa lingua.

Probabile che al tavolo delle trattative il centrodestra parta dal nome di Silvio Berlusconi, ma è altrettanto probabile che arrivi un immediato stop. Da Conte, da Letta, e forse pure da Renzi.

Solo allora il confronto entrerà nel vivo, e non potrà che cominciare da Mario Draghi e dalle prospettive del governo e della legislatura. La vera posta in gioco è questa, considerato che quella del premier rimane l’ipotesi di gran lunga più forte. Qui, inevitabilmente, gli interessi divergeranno, anche dentro il centrodestra. La Meloni dal palco di Atreju ha avvertito: con Draghi al Quirinale le elezioni anticipate si avvicinano, ma la questione verrà posta da Fratelli d’Italia qualunque sia il nuovo Capo dello Stato. L’interesse della Meloni potrebbe intrecciarsi con quelli di Letta, smanioso di rimodellare i gruppi parlamentari dem a sua immagine e somiglianza, e forse anche di Conte, per le stesse ragioni di presa oggi inesistente sul Movimento. Sulla barricata opposta a far compagnia a Salvini con ogni probabilità ci saranno Renzi e Berlusconi, oltre a un bel numero di peones grillini (e soprattutto di ex, ora al gruppo misto), terrorizzati dall’idea di perdere un anno di legislatura e forse lo stesso vitalizio.

Più che fra destra e sinistra lo spartiacque della partita per il Quirinale rischia di passare fra chi vuole le elezioni anticipate e chi no. E nell’attuale sfilacciatissimo parlamento i secondi sembrano essere nettamente la maggioranza. Nel voto segreto questa maggioranza, più o meno silenziosa, potrebbe riservare molte sorprese. Sottovalutare questo quadro complesso potrebbe portare a gravi errori di valutazione, e diversi leader potrebbero uscire ridimensionati da questo passaggio parlamentare.

— — — —

Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.

SOSTIENICI. DONA ORA CLICCANDO QUI