La firma del nuovo decreto governativo dopo 20 ore dal suo annuncio notturno è l’ennesimo segnale di una crisi sanitaria che sta lentamente trasformandosi anche in crisi istituzionale. Mai come in questo fine settimane il governo è sembrato annaspare davanti all’emergenza, stretto fra le pressioni delle aziende da una parte e dei governatori dall’altra. Esitazioni nel decidere ed errori di sostanza che si assommano a quelli clamorosi sulla comunicazione, una diretta Facebook alle 23.30 di un sabato di paura cui non segue il testo del provvedimento annunciato.
Se le opposizioni sono arrivate a tirare per l’ennesima volta per la giacca il Capo dello Stato, reclamando un incontro e soprattutto la riapertura del Parlamento è perché il clima di unita concreta auspicato da Mattarella un auspicio è rimasto. Incomunicabilità completa, zero condivisione delle scelte pesantissime che Conte è stato chiamato a compiere.
Certo, in nome dell’emergenza si può perdonare tutto o quasi. Ma quando si esagera, si rischia. Si pensi all’ordinanza dei ministri dell’Interno e della Salute che vieta di spostarsi da un comune all’altro. Sarà pur nata per evitare l’ennesima transumanza dal Nord malato verso le Regioni meridionali, ma collide pesantemente con l’articolo 16 della Costituzione, secondo cui la libertà di movimento può essere limitata per ragioni di salute pubblica, ma solamente da una legge. E si allunga l’elenco dei costituzionalisti che lanciano l’allarme rispetto allo stravolgimento delle regole che in altri paesi non è avvenuto, perché i parlamenti hanno discusso regolarmente le misure anti-pandemia. Basti pensare a Francia e Spagna.
Si tratta di delicati aspetti giuridici che certo non sfuggono all’attenzione vigile del presidente Mattarella, che ha però poco margine di manovra. Difficile immaginare di poter andare oltre la moral suasion, per quanto pressante, senza generare uno sconquasso istituzionale, che è l’unica cosa di cui l’Italia non ha bisogno in queta fase.
Difficile in questa chiave non immaginare una regia del Colle dietro le risposte dei presidenti delle Camere. Dalla Casellati prima, e da Fico poi, è arrivata l’assicurazione che il Parlamento non è chiuso, che la prossima settimana esaminerà in commissione il decreto legge su cui si appoggiano i successivi Dpcm (decreti del presidente del Consiglio dei ministri). Da sottolineare la tirata d’orecchi a Conte, invitato a stabilire con le Camere un raccordo sistematico “ad ora mai attuato”.
Quel che appare in modo preoccupante è un premier sempre più solo: evita il Parlamento, non dialoga con l’opposizione, decide con pochi fedelissimi e fatica a comunicare all’esterno. Si notano in questi giorni la quasi completa scomparsa dai radar del già critico Renzi, ed anche di Zingaretti (convalescente). Persino con i 5 Stelle ci sono problemi evidenti, se uno dei sottosegretari a Palazzo Chigi, il fido Buffagni, sabato sera in tv era all’oscuro del fatto che il premier stesse per annunciare il blocco delle attività produttive.
In una domenica complicatissima è toccato al capo delegazione democratico Franceschini l’onere di difendere Conte, sottolineando come non ci si possa permettere polemiche nella stagione più drammatica dalla fine della seconda guerra mondiale. Difesa d’ufficio, anche del proprio ruolo di sostanziale numero due dell’esecutivo, che nessun altro nel Pd sposa in pieno.
Se Giuseppe Conte non saprà prodursi in uno scatto di reni consistente nelle modalità di gestione di questa drammatica crisi saranno dolori per tutti. Per un governo sempre più debole e isolato, ma anche per un tessuto produttivo che teme di ritrovarsi dopo il passaggio del coronavirus nella stessa desolazione in cui l’uragano Katrina lasciò la Louisiana e le zone circostanti.
La questione è sul tavolo di Mattarella, e diventa ogni giorno più spinosa. Difficile immaginare un cambio della guardia nel bel mezzo di un’emergenza. Non si vede all’orizzonte nessun Churchill nostrano in grande di sostituirsi al Chamberlain di turno nell’ora più buia. Ma all’Italia per ripartire dopo la pandemia serve molto di più. Serve una soluzione più adeguata all’altezza della sfida. E al Quirinale ci stanno pensando.