Un calcio al barattolo per spingerlo più in là, e il nodo della ratifica del Mes slitta a novembre. L’esame del provvedimento e l’eventuale approvazione viene rinviata di quattro mesi: così hanno deciso i capigruppo della maggioranza che hanno presentato una sospensiva da votare la prossima settimana. Lo slittamento fa cadere il riesame del Mes nel pieno della sessione di bilancio. Il rinvio di solito nasconde indecisioni o diversità di vedute interne, questa volta la spiegazione che viene data dall’interno della maggioranza è che al Governo conviene prendere tempo per rafforzare la capacità negoziale con Bruxelles.



Il confronto con i partner europei è piuttosto articolato: c’è il Mes, già ratificato dagli altri 19 Paesi che fanno parte del Meccanismo, ma ci sono pure la messa a punto del Patto di stabilità, la questione migranti e il Piano di ripresa e resilienza, da rivedere negli obiettivi, nei progetti e nei fondi assegnati. I tavoli della trattativa sono parecchi e ogni Paese ha i propri obiettivi, tanto più che le elezioni per il rinnovo del Parlamento di Strasburgo sono dietro l’angolo e nessuno vuole compiere passi che possano provocare emorragie di voti.



Che la partita si giochi su più piani è scritto nel testo stesso della questione sospensiva. Al di là delle critiche di merito (“utilizzare il Mes comporta il rischio di stigma e di perdita di potere contrattuale sul piano europeo e internazionale”, si legge), nella delibera è messo nero su bianco che “si è ancora in fase di attesa di quelle che potranno essere le nuove regole del Patto di stabilità europeo, del completamento dell’Unione bancaria e dei meccanismi di salvaguardia finanziaria”.

Nei prossimi mesi dunque Giorgia Meloni userà il Meccanismo europeo di stabilità come arma negoziale. Se è fuori discussione che da Bruxelles (e probabilmente dalla Germania) arrivino forti pressioni, è altrettanto vero che l’Europa deve fronteggiare il rischio che il Mes nella sua versione riformata venga bocciato dalla fermezza italiana. Come va messo in conto che nemmeno la riforma del Patto di stabilità approdi a un esito positivo; e se a fine anno non ci fosse una soluzione, si tornerebbe alle vecchie regole. E intanto i ragionamenti sui nuovi assetti europei in vista del voto del 2024 entreranno nel vivo.



Nessuno, al momento, ha la soluzione in tasca. E non c’è da aspettarsi neppure un ribaltone nel Parlamento italiano: il governo Meloni appare solido e le minoranze non sembrano in grado di scalfire il consenso del centrodestra, nemmeno sfruttando le fibrillazioni (e forse le indecisioni sul Mes) in casa Forza Italia.

Anche la Meloni sa di correre i suoi rischi, ma preferisce giocare la sua partita temporeggiando. Con il no al Mes – “mi assumo la responsabilità, non è il momento di ratificarlo”, ha detto la premier alzando i toni alla Camera – tiene tranquillo il proprio elettorato, mantiene tutti i dossier aperti, dal Patto di stabilità al Pnrr in attesa di sviluppi, teoricamente senza indebolirsi. Ma alla fine non è neppure da escludere che possa dare il via libera al Mes, se la contropartita negoziale ottenuta fosse adeguata. Naturalmente, questo non cambierebbe di una virgola la pericolosità del trattato.

Ieri, a Bruxelles per il vertice Ue, ha sottolineato che in Europa “non c’è la stessa attenzione” riservata in Italia alla questione. Da noi i giornaloni dicono che l’Europa sia parecchio irritata con Roma; per saperlo basterà attendere il 5 e 6 luglio, quando la Camera voterà sul rinvio.

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