È crollato un altro ponte: per grazia di Dio non ci sono vittime, anche grazie all’obbligo di stare in casa e al fiume in secca. Altrimenti, ci saremmo trovati a piangere altri morti. Una tragica fatalità? Ingegneri incapaci? Brama di capitalisti che vogliono fare utili sulla pelle di chi viaggia? Niente di tutto questo. Per dirla con Le Bourget, “I nostri atti ci seguono”: le scelte che abbiamo fatto, sull’onda della “pancia” del Paese, prima o poi presentano il conto.
Il ponte crollato non è di una società privata che gestisce in concessione una strada da cui ricava pedaggi, ma dall’Anas, società pubblica: proprio quell’Anas alla quale un recente decreto assegna la gestione della rete autostradale nell’eventualità che sia tolta ai concessionari privati; per essere concreti, sia tolta ad Aspi che aveva in gestione il Ponte Morandi crollato a Genova. Si potrebbe ironizzare, ma non è certo il caso; la verità è che non ci sono soluzioni semplici, a portata di click, di tweet o di post su Facebook, per problemi complessi, che, proprio sull’onda del click, abbiamo contribuito a rendere più intricati.
L’Anas ha preso in gestione il ponte crollato, che fa parte della strada provinciale n° 70 della Provincia di Massa Carrara, solo due anni fa, nel 2018. Con questo non si vuole sollevare qualcuno dalle sue responsabilità, ma richiamare l’attenzione sulla confusione amministrativa che si è prodotta nel nostro Paese. Una volta le cose erano chiare: le strade tra casa mia e la piazza deve farle il Comune; quelle tra la mia città e il capoluogo, la Provincia; quelle che portano in un’altra Regione, lo Stato, per l’appunto tramite l’Anas. Poi ci siamo inventati il federalismo e il passaggio di molte strade statali dall’Anas alle Regioni, che però, non avendo esperienze e uffici tecnici, le hanno delegate alle Province. Poi ci siamo inventati di cancellare le Province, dicendo che erano “enti inutili” e che, quindi senza problemi, si potevano “risparmiare” i fondi loro assegnati.
Gli uffici tecnici provinciali, lasciati senza fondi e nella completa incertezza, si sono presto spopolati, disperdendo il grande patrimonio di informazioni ed esperienza. Oggi, mancando un catasto delle opere pubbliche, è spesso impossibile ritrovare perfino gli schemi progettuali dei ponti: non sappiamo se sia anche il caso in questione, ma spesso i periti chiamati a fare una verifica si rifiutano, perché senza sapere con precisione come è fatto “dentro” un ponte è difficile valutare “da fuori” quanto sia danneggiato.
La prima cosa da fare è quindi ricostruire un catasto delle opere pubbliche: lo aveva capito anche il Ministro Toninelli all’indomani del crollo del Morandi; solo che pensò di risolvere la cosa con un click, anzi scrivendo una burocratica lettera con la quale imponeva a tutti gli enti pubblici di mandare entro poche settimane l’elenco al Ministero. Risultato: dopo oltre un anno abbiamo solo superato il contenzioso amministrativo di come gestire il contratto di lavoro del personale della futura Agenzia per la Sicurezza. In Israele, l’ho già segnalato in un precedente articolo, hanno in pochi mesi costruito il catasto analizzando con tecniche di Intelligenza Artificiale le immagini riprese dalle normali automobili dotate di telecamere anticollisione.
Il groviglio di competenze e attribuzioni non è però l’unico ostacolo: i tagli alla spesa pubblica hanno lasciato per dieci anni senza manutenzione gran parte della viabilità minore, come ha ben documentato una ricerca della Fondazione Caracciolo, l’ufficio studi dell’Aci. Una decisa inversione di tendenza è avvenuta con le leggi di Bilancio del 2018 e del 2020, che hanno finanziato interventi di manutenzione della rete viaria di province e città metropolitane; con decreto-legge 30 dicembre 2019, n. 162, convertito con modificazioni dalla Legge 28 febbraio 2020, n. 8, vengono definitivamente stanziati fondi per complessivi 4,9 miliardi di euro, di cui 2,2 nel quinquennio 2020-2024. I soldi quindi oggi ci sono: per vedere però aperti i cantieri dobbiamo superare un altro, insidiosissimo, ostacolo. Il codice degli appalti, che indica come deve funzionare il mondo perfetto, applicato alla grande imperfezione del nostro mondo, espone i funzionari al rischio di una condanna penale o del temutissimo “danno erariale”.
Parafrasando qualcuno che non si deve citare, si potrebbe dire “chi si firma è perduto”: quindi, per non “firmarsi”, è spesso preferibile “fermarsi”. Alla prossima dunque.