“Di fronte in Sudan ci sono due generali che si contendono il potere: si stava discutendo di passarlo nelle mani dei civili, però bisognava riunire gli “eserciti”, far confluire nell’esercito regolare le forze speciali. Il contrasto è nato proprio su chi doveva prendere in mano l’esercito una volta integrate queste forze, che fanno capo a Hemetti e non sono altro che i janjaweed. Tutti sanno le distruzioni di cui si sono resi responsabili questi ultimi nel Sud Sudan, anche nel Darfur.
Dietro ognuno dei due contendenti ci sono altri interessi, dei russi, dei turchi, dei cinesi, dei sauditi e degli americani”. Quello che disegna Mussie Zerai, sacerdote eritreo che dal 1992 vive in Italia occupandosi di migranti e di rifugiati dell’Africa sub sahariana, in particolare quelli del Corno d’Africa, è il quadro di una situazione potenzialmente esplosiva, che potrebbe portare a una grave crisi in un’area particolarmente importante per il commercio mondiale e proprio per questo strategica. I contendenti sono Abdel Fattah Al Burhan, capo dell’attuale giunta militare e Mohamed Hamdan Dagalo, detto Hemetti, il suo vice, le cui forze sono all’origine del tentato golpe di questi giorni, che ha già causato oltre 270 morti tra i civili.
Hemetti ha legami con la Wagner, la compagnia dei mercenari russi, e Mosca vuole realizzare una base navale nel Paese, per la quale avrebbe già ottenuto il placet delle autorità locali. Chi c’è dalla sua parte, anche i turchi?
Anche la Turchia voleva crearsi una base militare lì, sul Mar Rosso. Ma ci sono anche altri attori come Usa, Cina, Arabia Saudita, che sono interessati a questo scenario.
Sono attori già schierati dalla parte dell’uno o dell’altro?
Sono interessati al Paese in generale ma in questo momento c’è chi appoggia Al Burhan come i sauditi e anche gli americani. I russi sostengono Hemetti. Si sono già schierati dietro l’uno o l’altro.
Ma il conflitto è nato per una rivalità tra i generali, non ci sono states pinte da parte degli stranieri?
Il problema è che questa rivalità interna è anche su quale Sudan creare, sulle sue alleanze. Non è solo una questione interna di potere, per vedere chi manterrà il controllo dell’esercito, devono decidere da che parte stare nello scacchiere regionale, dalla parte della Russia o da quella degli Usa, dell’alleanza occidentale o dei sauditi.
Però i sauditi hanno fatto qualche apertura ai russi, non sono più tanto alleati degli americani: quale ruolo giocano qui?
Vogliono crearsi una loro autonomia, vogliono essere una potenza regionale nel Mar Rosso; quindi stanno cercando di ritagliarsi uno spazio politico ed economico nella regione. Non sono totalmente legati agli americani ma su certe cose i loro interessi coincidono. Non vogliono lo strapotere sia della Turchia, sia della Russia e di altri Paesi davanti a casa loro. Anche della Cina.
Perché strategicamente ed economicamente è così importante il Sudan?
Il suo spazio nel Mar Rosso ha una grande importanza strategica: il 70% del commercio mondiale passa da lì. Con i porti e le isole che sono in mezzo al Mar Rosso il Sudan ha una posizione strategica fondamentale. Poi è importante anche per le sue risorse interne.
Miniere e petrolio in particolare?
Un po’ il petrolio, un po’ le miniere. Anche in questo caso i due contendenti, Al Burhan e Hemetti, controllano ciascuno territori che sono importanti per le loro risorse, per il Paese ma anche per il rapporto con l’estero.
I mercenari della Wagner, che hanno legami con Hemetti, controllano alcune miniere, ma anche dall’altra parte, quella dell’esercito regolare, quindi, vengono controllati territori ugualmente ricchi di risorse?
E’ così. Fino ad ora entrambi i generali hanno fatto la corsa per controllare territori che hanno delle risorse, che siano l’oro, il petrolio, i gas naturali o il potassio. Anche lungo il Nilo, la zona più fertile per l’agricoltura. Ognuno ha cercato di controllare i territori che dispongono di risorse per condizionare poi le scelte future.
Come sono le forze in campo, chi può prevalere dal punto di vista militare soprattutto?
Non hanno lo stesso peso ma le forze speciali sono molto esperte nelle guerriglie, capaci di attaccare. L’esercito regolare sarà anche meglio equipaggiato, ma dipende anche quanta tecnica, quanta esperienza ha. Le forze speciali sono ben attrezzate, ben equipaggiate, più abituate a combattere. Non hanno fatto altro dentro il Paese ma anche fuori.
Si tratta di una contrapposizione che potrebbe andare avanti a lungo?
Il rischio c’è, anche perché stanno arrivando forze da fuori in aiuto dei janjaweed, dal Ciad, dal Niger. Se non si trova una soluzione pacifica rapidamente c’è il pericolo che il conflitto si prolunghi.
I soldati che arrivano da Ciad e Niger sono sempre janjaweed?
Sono janjaweed sudanesi ma anche altri loro alleati. Erano andati in supporto di milizie del Ciad o del Niger, a loro volta questi vengono in loro soccorso.
La situazione è pericolosa anche in un altro senso. Il conflitto può far detonare la guerra anche nei Paesi vicini?
Rischiano di incendiare tutta la regione, perché se si coinvolgono milizie di altri Paesi il rischio è che il conflitto si allarghi ad altre nazioni.
Quali ad esempio?
Quelli che ho citato ma anche i Paesi confinanti con il Sudan. Se il conflitto si propaga c’è il pericolo di un coinvolgimento dell’Etiopia, dell’Eritrea. Basta che, per una ragione o per l’altra, si sconfini nel territorio di un altro Paese. Già ci sono comunque delle tensioni: il Sudan ha problemi con l’Etiopia perché ha occupato un pezzo di territorio etiope, stavano dialogando per risolvere la situazione in modo pacifico.
C’è il rischio anche che i Paesi stranieri cerchino di sfruttare la situazione a loro vantaggio?
Sì. Certamente. Nei giorni scorsi il premier etiope stava facendo un appello perché smettessero le interferenze di potenze esterne nella vicenda sudanese. Ci sono intromissioni dirette o indirette di altre potenze. Se poi il conflitto si allarga ognuno per far prevalere i propri interessi può far intervenire milizie o finanziare milizie di Paesi vicini.
Al consenso dato dai sudanesi per una base navale russa gli americani hanno reagito diffidando le autorità locali di dar seguito al progetto. Qual è la presenza americana sul territorio?
Non hanno basi militari. Sono presenti con esperti, consiglieri perché per gestire quella che doveva essere la fase di transizione alla democrazia sono intervenute diverse delegazioni per contribuire a questo processo. Comunque, a due passi c’è la base militare americana di Gibuti. Se vogliono intervenire possono arrivare in due minuti.
Il loro interesse in quell’area qual è?
Agli americani interessa tutto il tratto del Mar Rosso perché da lì passa la gran parte del commercio mondiale, non vogliono che altri Paesi riescano ad avere un predominio nella zona.
La situazione economica e sociale del Sudan in questo momento qual è?
Dalla separazione con il Sud Sudan in poi l’economia è sempre andata declinando e i governi civili e militari che si sono succeduti non sono riusciti a risolvere la questione: c’è tanta povertà, la richiesta del popolo era il pane, non la spartizione del potere.
C’è la possibilità che la guerra spinga la gente ad emigrare, a cercare fortuna altrove?
Già lo fanno adesso, ma ora si sta combattendo nella capitale Karthoum, dove ci sono migliaia e migliaia di profughi arrivati anche da altri Paesi come Eritrea, Etiopia, Somalia. Se il conflitto continua e interessa tutti i quartieri questa gente fuggirà. Chi potrà tornare a casa sua tornerà, chi non potrà tornare cercherà altre vie.
Magari anche in Europa?
Uno dei passaggi per chi voleva emigrare era quello del Sudan, per andare poi verso la Libia e l’Europa. Questo conflitto rischia di spingere migliaia e migliaia di profughi fuori dai confini: cercheranno rifugio altrove, anche in Europa.
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