Che l’incontro di ieri tra Giorgia Meloni e Silvio Berlusconi sia andato bene lo dimostra il totoministri susseguente, che dopo giorni di incertezze sembra ormai assestato. Potranno esserci piccoli cambiamenti, ma l’impianto del primo esecutivo Meloni resterà, sancito dalla tregua raggiunta in via della Scrofa dove il Cav ha dovuto mettere piede dopo quasi 30 anni: era la sede storica del Msi quando il leader di Forza Italia sdoganò la destra in vista del voto del 1994, ed è rimasta la base operativa anche di Alleanza nazionale e ora di Fratelli d’Italia.
Le caselle chiave sono riempite: due vicepresidenti del Consiglio, Tajani (agli Esteri) e Salvini (alle Infrastrutture, cioè al Pnrr). Il prefetto Piantedosi all’Interno, Giancarlo Giorgetti all’Economia, Urso alla Difesa, Nordio alla Giustizia. E qui viene il primo dei nodi sciolti ieri. Assodata la rinuncia di Licia Ronzulli a una poltrona da ministro, Berlusconi voleva che il guardasigilli fosse Elisabetta Casellati. La Meloni non ha ceduto, ma il Cav ha ottenuto che la presidente uscente del Senato abbia il dicastero delle Riforme.
L’altro scoglio era il ministero dello Sviluppo economico, quello cui appartengono le deleghe sulle telecomunicazioni e che si occuperà (anche) delle tv di Berlusconi. Qui i giochi non sembrano ancora fatti, ma al momento il candidato numero uno è Gilberto Pichetto Fratin, forzista di stretta osservanza e attuale viceministro proprio al Mise. Per lui si parla anche della Transizione ecologica ed energetica, ma la destinazione più probabile resta lo Sviluppo. Vorrebbe dire che Berlusconi ha sacrificato la Ronzulli, scaricandola, per puntare ai suoi veri obiettivi, cioè avere la Casellati nella compagine e un azzurro di provata fede a occuparsi delle concessioni tv. Non male per il vecchio leader descritto come l’imperatore Enrico IV che si umilia andando a Canossa.
Complessivamente i ministeri per Forza Italia saranno cinque, che era il numero fissato dà Berlusconi fin dall’inizio. Oltre a Tajani, Casellati e Pichetto Fratin, gli altri dovrebbero essere Cattaneo all’Innovazione tecnologica e la Bernini a Università e ricerca scientifica. Alla Lega, a parte Salvini e Giorgetti, andrebbero gli Affari regionali con Calderoli, l’Agricoltura con Centinaio, l’Istruzione con Valditara, la Famiglia e la Disabilità: sette dicasteri. Il centrista moderato Lupi sarà ministro per i Rapporti con il Parlamento, il resto sarà appannaggio di Fratelli d’Italia, anche se Piantedosi (ex capo di gabinetto di Salvini); Francesco Rocca alla Salute al Viminale e Marina Calderone al Lavoro sono figure tecniche (quest’ultima è presidente dei consulenti del lavoro).
Dalla lista sono fuori due nomi di peso per Fratelli d’Italia, Giulio Tremonti e Marcello Pera, autorevoli ex forzisti passati di recente alla corte della Meloni: su di essi il veto posto da Berlusconi, loro ex capo partito, non è stato rimosso. Invece al sempre più defilato Guido Crosetto dovrebbe andare l’unico dicastero economico destinato a FdI, cioè la Transizione ecologica. Anche questo è un dato curioso: la Meloni ha di fatto rinunciato ai ministeri economici. Giorgetti va a Via XX Settembre, a Salvini le Infrastrutture, a Pichetto Fratin lo Sviluppo, alla Calderone il Welfare con annesso disinnesco della mina reddito di cittadinanza. La Meloni si tiene la cabina di regia a Palazzo Chigi, ma l’operatività non farà capo a Fratelli d’Italia.
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