“La vera domanda che dobbiamo farci su di lui è come mai, a quattro anni da una sconfitta che sembrava averlo messo fuori causa e nonostante un modo di fare grezzo e un atteggiamento fortemente sessista, abbia vinto a valanga”. Le risposte all’interrogativo che si pone Rita Lofano, direttore responsabile dell’AGI, le hanno date gli elettori americani, che hanno scelto in modo abbastanza chiaro Donald Trump come loro presidente. Lo hanno visto come un uomo che dice quello che pensa e che sa prendere delle decisioni, mentre la sua avversaria, Kamala Harris, è stata definita “la candidata del no comment”. Per i democratici, una grande sconfitta: hanno perso perché hanno sposato totalmente la cultura woke, senza accorgersi che nel frattempo la maggioranza degli americani politicamente si spostava altrove.
Doveva essere una lotta voto su voto, ma poi la vittoria di Trump si è rivelata molto netta: una disfatta democratica?
Che fosse un testa a testa, con Trump in vantaggio, lo si sapeva; questa volta i sondaggi non ci sono andati lontani. La sorpresa è stata forse per l’entità della vittoria: Trump ha prevalso un po’ in tutti gli Stati, ha sfondato il muro blu. La sua grande rivincita è quella di avere conquistato il voto popolare. Lo ha sottolineato nel suo primo discorso, dichiarando che sente per questo di avere un mandato forte.
C’è un fatto che ha segnato una svolta nella sua campagna elettorale?
Probabilmente Trump ha vinto il 13 luglio, il giorno dell’attentato a Butler in Pennsylvania; lì l’America si è in qualche modo riconosciuta e ricompattata intorno a lui. Detto questo, i democratici hanno gestito male le elezioni, prima ricandidando Biden e poi sfilandolo dalla corsa all’ultimo minuto. Il presidente uscente, tra l’altro, nella notte elettorale non ha detto una parola. Harris ha rilanciato l’entusiasmo, ma era difficile trasformarla da una vicepresidente quasi inesistente, come l’avevano definita tutti, nel secondo Obama.
La rivincita di Trump cambia definitivamente il partito repubblicano?
Si apre una fase nuova: Trump ormai si è appropriato definitivamente del partito, che ha cambiato pelle. Non è più il GOP di Reagan, globalista e pro immigrazione, ma un partito Maga (Make America Great Again), nazionalista, con forti spinte all’insegna del protezionismo e populista.
Per i democratici, invece, la sconfitta è pesante. Il partito è sembrato un po’ disorientato. E adesso?
Nel partito democratico si aprirà sicuramente una riflessione in cerca di un’anima. Magari esponenti come la Ocasio-Cortez e Bernie Sanders diranno che la strategia di moderazione abbracciata da Kamala Harris non ha pagato. La verità è che il partito democratico, come partito woke, non funziona. Questa è la sconfitta di un partito che si è identificato con la cultura woke: i dem si sono schiacciati sul politicamente corretto esasperato, sulla criminalizzazione della polizia e il terzomondismo. Per poi fare una giravolta finale con la Harris che, per convincere gli indecisi, ha rivelato che anche lei ha una pistola. Mentre Trump sosteneva che avrebbe rimandato tutti i clandestini nel loro Paese, Harris è arrivata a dire che li avrebbe arrestati tutti.
Una strategia, quella della Harris, poco convincente.
Fox News, emittente comunque conservatrice, l’ha definita “la candidata del no comment”. La Harris viene da quella cultura radical chic, californiana, espressione delle minoranze, molto vicina alla cultura woke. Si è dovuta ricalibrare presentandosi come più moderata, ma è stata poco convincente: posizioni nette non le ha mai prese. Alla fine, l’America ha preferito una persona magari controversa, ma che decide e dice quello che pensa. Kamala, paradossalmente, ha perso anche i giovani. Trump, invece, ha parlato all’uomo bianco dimenticato: l’economia è andata meglio, la disoccupazione è bassa, i tassi stanno scendendo, ma poi l’inflazione, la più iniqua delle tasse, colpisce la classe media. Nella percezione dell’americano medio, questo ha contato dal punto di vista economico.
Le donne e i diritti, sui cui aveva puntato la Harris, non sono bastate a fare la differenza?
Non c’è stata corsa alle urne delle donne per la difesa dei diritti, come era successo nel 2022. Persino in Florida, anche se è uno Stato ormai repubblicano, non è passato il referendum per emendare il bando all’aborto dopo le sei settimane. La realtà è che i democratici sono sempre più un partito di élite in cui la maggioranza degli americani non ci si riconosce più. Mentre Trump, che fa leva sulla pancia dell’elettorato, fa più breccia. Inoltre, ha pesato il fatto che la Harris non fosse per nulla conosciuta.
Trump è riuscito anche a vincere negli Stati in bilico. Grazie a cosa?
Trump è stato molto abile in questo. In Michigan, ad esempio, ha ingaggiato come consulente il consuocero, il padre del marito della figlia Tiffany, Massad Boulos, un miliardario texano nato in Libano, che ha lavorato per spostare i voti degli arabo-americani, che in gran parte sono cristiani. Boulos ha ottenuto l’endorsement del sindaco di Dearborn, dove c’è la sede della Chrysler in Michigan.
Ora cosa ci dobbiamo aspettare dal tycoon? Farà finire davvero le guerre in Ucraina e Medio Oriente?
Trump fa quello che dice. In campagna elettorale nel 2016 disse che sarebbe uscito dagli accordi di Parigi. Tutti pensavano che, se fosse stato eletto, non avrebbe dato seguito a questa dichiarazione. Invece è stato così. Per quanto riguarda le guerre, non so se le farà finire: sicuramente avrà un approccio più muscolare. La sua elezione avrà un impatto soprattutto dal punto di vista economico: in questo senso l’Europa dovrà darsi una mossa.
(Paolo Rossetti)
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