“Dobbiamo fare dei cambiamenti? Facciamoli subito, altro che elezioni, salviamo il Paese dal restyling in grigioverde dell’establishment, che lo sta avvolgendo! Come un serpente che cambia la pelle”. L’aperta ostilità contro il voto è di Beppe Grillo. Davanti ai tentennamenti di Luigi Di Maio, che si dice pronto a sfidare le urne (naturalmente dopo aver ridotto il numero dei parlamentari), il fondatore del Movimento 5 Stelle interviene sul blog a dettare la linea. Grillo tiene aperti tutti gli scenari, ma soprattutto quello del non voto. “Io non vorrei”, scrive, “che la gente abbia confuso la biodegradabilità con l’essere dei kamikaze. Noi ci muoviamo sinuosi nel mondo e i nostri nemici pregano che la coerenza, solo la nostra, sia una sorta di colonna vertebrale di cristallo: ‘Non vi preoccupate sono talmente coerenti che si spezzano piuttosto che sopravvivere!’. Questo pensano, pure molti sprovveduti al nostro interno”.
Il M5s come un serpente sinuoso che fa la muta, che si piega e si contorce pur di non essere spezzato, anzi spazzato via. È il segnale di un’inversione di rotta, che fa il paio con le voci sempre più insistenti di una pattuglia di ingegneri parlamentari al lavoro per evitare le urne. Ma potrebbe riferirsi anche a cambiamenti da portare nella leadership del Movimento, dove Di Maio ha fatto il suo tempo.
Accordo con il Pd? Ieri hanno smentito sia il segretario Nicola Zingaretti sia Matteo Renzi. Resta però qualche traccia di un percorso che potrebbe convergere su interessi comuni. Il Pd, per esempio, ha già presentato la richiesta di votare subito la sfiducia individuale al ministro Matteo Salvini per togliergli immediatamente il Viminale: questo prima ancora di discutere la mozione di sfiducia al governo presentata dalla Lega. Che faranno i 5 Stelle? Daranno fiducia a colui che li sta mandando a casa o si schiereranno con il loro principale bersaglio? Il sinuoso Grillo forse ne sarebbe capace. Sarebbe una specie di prova generale per allontanare le urne.
Di Maio ha poi lanciato una grande raccolta di firme per completare l’iter parlamentare di modifica costituzionale relativa al taglio del numero dei parlamentari: una battaglia dei 5 Stelle che farebbe slittare di parecchi mesi lo scioglimento delle Camere, anche perché, una volta cambiata la Costituzione, occorrerebbe riscrivere la legge elettorale. E qui, che cosa farà il Pd? Difenderà la casta parlamentare o aggiungerà i propri voti a quelli dei 5 Stelle, visto che pochi anni fa il segretario Renzi voleva tagliare addirittura il Senato?
In fondo, M5s e Pd sono già andati a braccetto in Europa, quando assieme hanno contribuito a eleggere David Sassoli alla presidenza dell’Europarlamento e Ursula von der Leyen alla presidenza della Commissione europea. Fatto fuori Salvini dal Viminale, allontanate le urne per consentire la revisione costituzionale, forse ci sarebbe ancora spazio per un’ulteriore ipotesi arditissima, quella di un governo di minoranza per guadagnare altri mesi. Una riedizione della “solidarietà nazionale” inventata da Giulio Andreotti negli anni Settanta. Il suo terzo governo, che rimase in carica 19 mesi (Conte è in sella da 15) dal 1976 al 1978, era un monocolore democristiano retto sull’astensione di Psi, Psdi, Pri, Pli e soprattutto Pci. Di questo precedente parlò anche Giorgio Napolitano nel 2013 quando qualcuno ipotizzò un monocolore Pd di minoranza guidato da Pierluigi Bersani.
Dunque, si vocifera di un governo istituzionale guidato dal presidente dellagrillo Camera Roberto Fico, un monocolore grillino che sopravvivrebbe grazie all’astensione di Pd e magari anche di Forza Italia su un programma limitato e costituzionalmente definito. Stregonerie da alchimisti parlamentari? Sogni e speranze di chi non vuole abbandonare il Palazzo dopo appena un anno e mezzo? L’idea comunque circola, i maghi dei numeri sono al lavoro e l’uscita di Grillo non spazza via i dubbi. Dopo di che, nessuno dovrà meravigliarsi se Salvini dovesse sfondare il 50 per cento.