I resti dell’ex impero sovietico sono il quadro in cui si svolge il conflitto tra Armenia e Azerbaijan, che ha visto negli ultimi giorni una escalation degli scontri. Le notizie che giungono dal Caucaso sono confuse e difficilmente verificabili: gli azeri sostengono di aver ucciso oltre 500 soldati armeni e distrutto 22 carri armati, 18 droni e 15 sistemi missilistici di difesa aerea; del tutto opposte le cifre fornite dal ministro della Difesa armeno, che parla della morte di 200 soldati azeri, quattro elicotteri e 27 droni abbattuti, 33 carri armati distrutti. Dopo questi combattimenti, nelle ultime ore il ministero della Difesa azerbaigiano ha riferito di aver completamento distrutto un reggimento di fucilieri motorizzati delle forze armate armene Martuni, di stanza nella regione contesa del Nagorno-Karabakh. Al centro della contesa, la repubblica non riconosciuta a livello internazionale del Nagorno-Karabakh, a maggioranza armena. Secondo l’ex generale Carlo Jean, esperto di strategia, docente e opinionista, si tratta di “un conflitto, che avrà breve durata, scatenato dall’Azerbaijan per motivi interni: il presidente Ilham Aliyev, che ha ereditato il potere dal padre, ha bisogno di aumentare il suo consenso popolare e il nazionalismo, molto sentito così come in Armenia, è la sua arma migliore per ottenere questo obiettivo”.
Siamo all’inizio di un conflitto dalle estese proporzioni o secondo lei avrà una breve durata, come già successo nel 2016?
Dipende da quello che decide Putin. Se sceglie di intervenire pesantemente, mette fine ai combattimenti anche nel giro di un’ora, perché la Russia fornisce armamenti sia all’Armenia che all’Azerbaijan. Inoltre l’Azerbaijan è strettamente legato alla Turchia, e Russia e Turchia hanno interessi congiunti. Putin non vuole giungere a uno scontro con Erdogan, perché ciò comporterebbe un aumento dell’ondata di nazionalismo che già oggi pervade la Turchia.
Eppure secondo alcuni osservatori i turchi hanno inviato in Azerbaijan miliziani islamisti della divisione Hamza, che era stata attiva ad Aleppo in Siria. Questo fa pensare a un rafforzamento militare?
Sicuramente la Turchia ha grossi interessi in Azerbaijan, è uno dei fornitori di gas, che garantiscono alla Turchia ricche royalties, più che mai necessarie date le condizioni della sua economia.
In caso di escalation del conflitto, l’intera regione del Caucaso potrebbe rischiare di essere coinvolta?
Ritengo di no. È una situazione molto localizzata. Gli attori esterni, pur avendo preferenze per una o per l’altra parte, non hanno interesse a destabilizzare il Caucaso.
L’Armenia ha intenzione di riconoscere l’indipendenza del Nagorno-Karabakh, territorio conteso tra i due Paesi dalla dissoluzione dell’Unione Sovietica e causa già di diversi conflitti. È una mossa che può aumentare la tensione? A livello internazionale è riconosciuto come parte dell’Azerbaijan, ma di fatto è a maggioranza armena e guidato da un governo autonomo filo-armeno.
Il Nagorno-Karabakh non è mai stato riconosciuto a livello internazionale, si tratterebbe di una soluzione ottenuta con la forza. Se fosse ottenuta a fronte di un negoziato, l’Onu dovrebbe riconoscerne l’indipendenza, come successo quando si formarono le repubbliche Ceca e Slovacca. Data però la configurazione dei due regimi e il nazionalismo che segna i due popoli, nessuno ha interesse che venga spinto il conflitto oltre un certo limite. Anche perché dall’Azerbaijan arriva petrolio per tutta l’Europa. L’Italia da sola ne importa otto milioni di tonnellate all’anno.
Sta di fatto che l’Azerbaijan ha dato avvio a questo conflitto e continua a spingere verso i combattimenti. Per quale motivo?
Motivi interni. Il presidente dell’Azerbaijan, Ilham Aliyev, che ha preso il potere lasciato dal padre, ha bisogno di aumentare i consensi e usa il forte nazionalismo del suo popolo per raggiungere questo obiettivo. Il suo paese è molto più forte dell’Armenia, ma va tenuto presente che si combatte in un’area molto difficile, un territorio montagnoso, per cui le manovre militari non sono facili.
Quindi secondo lei è un conflitto che potrebbe esaurirsi in poco tempo, come la cosiddetta Guerra dell’aprile 2016 che durò circa cinque giorni?
Ritengo di sì, non sarà un conflitto particolarmente lungo. Potrà essere aspro come quello avvenuto nel 2016, ma di breve durata, non più di quattro o cinque giorni. La mobilitazione di riservisti da parte di Armenia e Azerbaijan, tuttavia, non è certo un segnale positivo e l’eventuale invio di armamenti da parte di Russia e Turchia sarebbe il segnale di un’escalation difficilmente evitabile. In questo contesto il ruolo della diplomazia è essenziale, anche se i contatti in questi mesi sono stati ostacolati dalla pandemia di Covid-19.