Ormai è assodato. O meglio dovrebbe essere assodato: il vaping e le sigarette elettroniche riducono il rischio del fumo del 95% e sono il metodo migliore per smettere di fumare definitivamente, Lo confermano numerosi studi e, persino, apparati pubblici di prima grandezza come il Public Health England.
Eppure l’Organizzazione mondiale della sanità continua a combattere questa pratica di riduzione del rischio con una tigna e una durezza degna di una migliore causa. E ci sono Paesi, come l’India che, pur registrando un milione di morti all’anno a causa del fumo, addirittura vieta le sigarette elettroniche e il vaping con la piena approvazione dell’Oms che per questo ha premiato il ministero della Sanità locale.
Certo non correre nessun rischio è meglio di correrne uno ridotto e nessuno, in primis i produttori, vogliono che le sigarette elettroniche finiscano per incoraggiare i non fumatori a cominciare a fumare. Ma in questo modo l’unica alternativa per i fumatori resta quella di correre dei grossi rischi o di smettere di fumare. Cosa che la maggior parte di questi ultimi non vuole o non riesce a fare.
Non c’è nessuna logica nell’atteggiamento dell’Oms, come in molte delle posizione assunte negli ultimi due anni sul coronavirus, ma ci sono sicuramente delle pesanti conseguenze emerse durante l’ultimo Global Forum on Nicotine svoltosi a Liverpool, due giorni di dibattito tra esperti di politiche pubbliche provenienti da tutto il mondo.
«È preoccupante», ha spiegato il direttore del Forum, Gerry Stimson, professore emerito dall’Imperial College di Londra, «che coloro che guidano a livello internazionale le politiche di controllo del tabacco si ostinino a perseguire un approccio proibizionista e irresponsabile verso il tabacco e la nicotina, mentre l’Oms attivamente perpetua la disinformazione sui nuovi prodotti a base di nicotina. Non si fa un buon servizio alla salute pubblica con una guerra alla nicotina, questo è un atteggiamento destinato al fallimento come la guerra alla droga. L’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) deve rivedere i suoi sforzi per aiutare, con tutti i mezzi disponibili, a far smettere di fumare quel miliardo di adulti che ancora non riesce».
«Il dibattito sulle strategie di riduzione del danno», gli ha fatto eco Kostantinos Farsalinos, professore all’università di Patrasso e alla School of Public Health dell’università West Attica in Grecia, «è dominato dai tentativi di screditarci con prove su immaginari conflitti di interesse, con studi senza nessuna solida base e usando la forza di alcuni gruppo di potere come Bloomberg Philanthropies che ha investito milioni di dollari in quest’opera di discredito, senza però confutare i risultati dei nostri studi sulle potenzialità della riduzione del danno da fumo. Diverse organizzazioni fondate da Bloomberg non hanno mai presentato evidenze scientifiche, ma provano a insinuare dubbi su immaginari conflitti di interesse».
Secondo Clive Bates, direttore Counterfactual Consulting, invece, «tutti sono in conflitto in qualche modo e tutti coloro che lavorano in questo campo hanno in passato avuto proprie convinzioni». La lotta alle sigarette elettroniche e al vaping viene combattuta con ogni mezzo, dai divieti, alle fake news, ma l’arma principale rimane il denaro, come ha sottolineato Brad Rodu, docente di Medicina ed esperto di politiche di riduzione del danno da tabacco dell’University di Louisville (Kentucky), che ha portato all’attenzione della sessione l’analisi della disparità di risorse economiche investite in Usa da enti pubblici sul tema del fumo e quelle investite sulla sicurezza delle sigarette elettroniche e degli Ends, Electronic Nicotine Delivery Systems. «A fronte di questa disparità nel 2020 c’è stata una esplosione di ricerche su quest’ultimo tema», ha osservato Rodu. «La missione e la forza di finanziamento del National Institutes of Health che ha puntato su una società libera dal tabacco sta influenzando chi fa ricerca nell’evidenziare nel modo peggiore nei propri studi le interpretazioni su tutti i prodotti del tabacco».
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