Per capire il voto francese è fondamentale spiegare bene al lettore italiano cosa significhi “ballottaggio” nel sistema elettorale che domenica prossima assegnerà gran parte dei seggi all’Assemblea nazionale.

Da noi siamo abituati ad usare il secondo turno per una scelta finale tra due candidati contrapposti, in Francia vanno invece al ballottaggio tutti i candidati che abbiano raggiunto il 12,5% dei voti.



In molti collegi vi saranno quindi ancora tre candidati (addirittura 4 in alcuni casi) e non due, rappresentanti rispettivamente il Rassemblement National ed alleati della Le Pen, il “centro” di Macron e il Nuovo Fronte Popolare della sinistra.

A parte i collegi già assegnati al primo turno in caso di maggioranza assoluta (sarebbero, mentre scriviamo, tra 65 e 85 su 577; passa chi ottiene il 50% più uno dei voti espressi da almeno il 25% degli aventi diritto), solo a conteggi ultimati si potrà sapere esattamente dove ci sarà al ballottaggio solo un candidato del Rassemblement contro uno della sinistra e dove invece saranno presenti le tre forze principali.



Con tre candidati sulla scheda, domenica prossima saranno eletti deputati i primi arrivati per collegio, anche restando ben sotto il 50%, e quindi – riproponendosi più o meno i risultati di ieri – la destra, essendo in molte regioni nettamente il primo partito, può vincere andando anche ben oltre la stretta maggioranza dei seggi. Per scongiurarlo, è necessario che là ove ci siano tre candidati uno dei due (del centro o della sinistra) si ritiri – di solito si ritira il terzo arrivato – concentrando i suoi voti sull’unico restante, per cercare così di diventare maggioranza. Se questa alleanza “tiene”, la Le Pen può ancora perdere le elezioni.



L’intesa però non è facile, perché tra centro e sinistra ci sono molte differenze, tensioni e sospetti reciproci e – ove anche la desistenza fosse convenuta a tavolino in sede di vertici politici – non è detto che soprattutto gli elettori di centro votino il candidato di sinistra e non preferiscano invece astenersi dal voto o addirittura votare per il RN.

Ponendo pure che pochi siano quelli che optino per quest’ultima scelta, è molto più probabile un certo astensionismo, il che favorirebbe comunque la Le Pen, visto che questa volta al primo turno si è votato molto di più che non in passato ed è difficile che in una settimana si ribaltino preferenze e risultati, data anche la spinta emotiva che accompagna i supporter del RN.

Le cose si sono complessivamente messe molto male per Macron, visto anche che Le Pen ha addirittura migliorato il risultato delle europee pur in presenza di un gran numero di nuovi elettori, e in caso di accordo con la sinistra a ritirarsi saranno quasi sempre i suoi candidati.

Sarà quindi una settimana decisiva in Francia, mentre continua ad essere ingombrante il problema politico che si pone a Bruxelles: se sia giusto che siano esclusi dai vertici Ue i partiti che nettamente sono maggioritari in Italia ed in Francia, oltre che in altri Paesi “minori”. Alla fine non è detto che un successo della Le Pen e l’avere scontentato la Meloni in Europa non spinga a creare una concentrazione a destra in un solo gruppo parlamentare a livello europeo (come auspicato da Salvini), magari con un criterio di adesione “federata” che salvi le forme e le differenze nazionali.

Sta di fatto che il voto di ieri – come in Italia nel 1994 – ha visto cadere il tabù dell’ostracismo a destra il che rimette in gioco tutta la politica d’Oltralpe, facendo ben comprendere come e perché si sia voluto “chiudere” in tempi rapidi a Bruxelles sulle nomine più importanti prima del crollo della Bastiglia, ovvero di Macron, che certamente ora rischia non tanto il posto da presidente quanto la sua personale credibilità.

Contraccolpi che potrebbero avere conseguenze anche all’interno del Ppe, dove in molti cominciano a chiedersi se valga davvero la pena di continuare a guardare ad un’alleanza a sinistra anziché aprire il gioco con i conservatori.

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