Un dato che pesa come un macigno: 41,6% votanti in Lombardia, 37,2% nel Lazio. Ormai la tendenza a diminuire ad ogni consultazione elettorale il numero dei votanti è consolidata da tempo.

Ma stavolta le percentuali raggiunte sono basse in modo allarmante. “Il calo dell’affluenza è veramente notevole in negativo – dice Alessandro Amadori, vicedirettore dell’Istituto Piepoli -. Poco al di sopra della metà rispetto alla scorsa tornata elettorale.



Penso che il dato indichi una grande difficoltà dei partiti a generare engagement: c’è un gran chiacchierare, talk shows, interviste, ma un engagement vero, di territorio, tra la gente, i partiti non riescono più ad averlo. Tutti. Arrivare a un 40% per un voto regionale vuol dire proprio che non c’è più connessione tra la maggior parte degli italiani e la forma partito”.



Un problema anche di campagna elettorale non così vivace?

Salvo ricevere alcuni whatsapp nelle ultime 48 ore con i soliti stereotipati inviti a votare, direi che ci si è accorti molto poco dell’esistenza della campagna elettorale. Non si sono ben capiti quali sono i modelli di governo regionale che si confrontano, quali le idee, i progetti, le priorità, i valori. Quindi c’è un tema di perduta capacità di generare coinvolgimento, che poi è quello che ti porta a votare per scegliere. Ma poi c’è anche un tema di identità per la forma Regione. Il Comune è l’istituzione di prossimità. Lo Stato un’istituzione di distanza. Ma le Regioni cosa sono? Proprio adesso che si parla di fare l’autonomia differenziata c’è il tema della forma Regione.



Ma quanto incide la disaffezione generale rispetto alla politica su questo voto?

Molto. Il fatto che fosse regionale, e che quindi dovesse generare un engagement maggiore, comunque non ha in alcun modo compensato il problema dei problemi che è questo distanziamento dai luoghi e dalle forme delle decisioni che riguardano direttamente i cittadini. Si dirà che livelli simili si sono toccati in tante nazioni, è vero. Resta però strano il fatto che il Paese dei territori, con una variabilità geografica, sociale, culturale, economica che ha pochi riscontri in Europa, abbia dei livelli di affluenza elettorale così bassi. Può essere un tema di maggiore autonomia da dare perché la Regione diventi finalmente qualcosa di chiaro. Un Land tedesco si sa esattamente cosa fa, una Regione italiana ni. Si conoscono alcune aree di competenza, però quanto dipenda dalle scelte regionali la performance erogata e quanto dipenda da effetti sistemici nazionali non si percepisce bene.

Fino a qualche elezione or sono l’affluenza bassa avrebbe favorito la sinistra che riusciva a portare al voto, comunque, i suoi elettori di riferimento. Adesso non è più così neanche per loro?

Non c’è più il fenomeno dell’astensionismo differenziale. I dati che escono da exit poll e proiezioni sono gli stessi dei sondaggi preelettorali. In questi contattavamo tutto il mercato, il pre-elettorale è esente dall’effetto astensionismo perché le persone sono chiamate, non devono recarsi alle urne. Il fatto che le proiezioni siano uguali ai rilevamenti fatti in precedenza è la conferma che si è ridotto l’astensionismo selettivo. Se vanno a votare in meno, proporzionalmente si riducono i votanti di tutti i partiti, mentre una volta l’astensionismo colpiva di più il centrodestra.

Quindi il centrosinistra in un certo senso ha perso più degli altri la capacità di mobilitare i propri elettori?

Esatto. Aveva questo vantaggio differenziale, una coesione del suo elettorato, una capacità di mobilitazione. Questo storico vantaggio sembra sia venuto meno.

Una questione di nomi, di persone, e di programmi?

Torniamo al discorso di prima: nomi meno radicati, contenuti meno distintivi, presenza fisica, reale dei partiti meno percepibile. La vecchia forma partito non c’è più. Il Pd, che è il partito che forse aveva più di altri una forma di questo tipo, ne risente. Fratelli d’Italia era un partito a 4 punti percentuali ma nella sua organizzazione, nella sua cultura è un partito tradizionale, non a caso la chiamavamo destra sociale. Può darsi che almeno nella sua componente maggioritaria oggi ci sia una rinnovata capacità di mobilitazione proprio da parte del centrodestra.

(Paolo Rossetti)

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