Giorgia Meloni ha una carta da giocare in Europa che cerca di tenere nascosta. A prescindere dal suo risultato personale, a cui si dedica con grande lena, sa che anche un voto lusinghiero andrebbe condito da una mossa politica di visione e prospettiva.
Sa bene che il suo partito andrà all’opposizione della maggioranza tra socialisti e popolari, non potendo che essere accanto ai vecchi amici a cui tanto deve. Eppure, da presidente del Consiglio e leader della maggioranza, capisce bene che la nomina di un commissario europeo amico è una necessità. Avere a Bruxelles un uomo a cui chiedere supporto, informazioni e condivisione è essenziale per i prossimi passaggi sul bilancio europeo e sul Patto di stabilità e certamente la Meloni non potrà mandare un fedelissimo di partito, consapevole che i nomi a sua disposizione non sono compatibili con la tradizione socialista e popolare. Ed allora su chi puntare?
Il suo uomo pare sia Antonio Tajani. Uomo che deve la sua carriera ai rapporti con i popolari europei, che ha preso l’eredità di Berlusconi e che vanta antica frequentazione con Meloni. Il suo nome sarebbe gradito ai popolari e darebbe alla presidente del Consiglio un altro vantaggio: aprire un rimpasto di Governo, molto profondo, lanciando la fase due del suo Governo. Lei sa di aver pagato i debiti di gratitudine ai suoi amici di partito e alcuni non hanno dato grande prova. Messi alla guida di ministeri più o meno importanti, molti fanno fatica. Ed allora l’uscita di un ministro di peso come Tajani metterebbe in moto un rimpasto ampio e forse condiviso dagli alleati.
Forza Italia sarebbe soddisfatta di avere un suo esponente in Europa e ben potrebbe lasciare la Farnesina ad altri. La Lega ha la grana Zaia, che a Roma, all’Agricoltura, ha lasciato un buon ricordo, e potrebbe trovare un ruolo in una pattuglia rinnovata di leghisti che potrebbero lasciare il ministero dell’Economia, scomodissimo, e tornare ad occuparsi di imprese e settori produttivi a cui tanto tengono. Salvini potrebbe usare il rimpasto per sedare gli animi dei suoi e mettere al Governo quelli più turbolenti. Poi molti ministeri, come la Giustizia, sono in affanno con riforme e gestione ordinaria. Alcuni ministri, come quella del Turismo, hanno vicissitudini personali imbarazzanti. E così un’uscita di Tajani aprirebbe ad un domino di passaggi e promozioni che vedrebbe la Meloni politicamente in grado di dare un spinta maggiore al suo Governo.
Ne ha bisogno perché larga parte del suo consenso non coinvolge la sua maggioranza ed il suo Governo e, di riflesso, anche le riforme chela premier vuole per il Paese. Nessuno più di lei è consapevole, come più volte ammesso riservatamente, che molti nomi nella lista del Governo sono stati inseriti per necessità di storia personale e non per effettiva analisi del curriculum. Se la sua candidatura personale alle europee sarà un successo, la legittimerà ancor di più al suo interno e nessuno dei suoi batterà ciglio alle sue decisioni. Se avrà in Europa qualcuno amico che le guarda le spalle, proteggendola dalle manovre di Bruxelles, potrà dedicarsi a presentare la riforma del premierato come una conseguenza necessaria della sua stessa presenza in politica dando una svolta “a destra” della Costituzione.
Il disegno appare chiaro e passa per una mossa inattesa ai più ma chiara a chi le gira attorno. Inutile dire che Tajani non vede l’ora di mettersi da parte della scena nazionale e tornare a Bruxelles. Da commissario europeo, esponente di una grande famiglia politica, potrebbe, nei suoi sogni, avere l’idea di entrare nella partita post Mattarella.
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