Caro direttore,
che Milena Gabanelli sia in campo come candidata alla presidenza Rai lo ha confermato lei stessa lunedì sul Corriere della Sera. La sua pagina-rubrica “Dataroom” aveva il titolo: “Giudici che sbagliano ma non pagano”. È l’ultima delle “headline” che ci si sarebbe attesi di vedere sotto la firma dell’inventrice di Report: l’archetipo del giornalismo “inquisitorio” in Italia.
La versione mediatica più compiuta – forse più del successivo Fatto Quotidiano – del primato e del principio di infallibiltà dei magistrati (in particolare dei Pm) affermatisi nella “costituzione materiale” della seconda repubblica. Una situazione che Gabanelli certifica e denuncia con forza: ammiccando in un capoverso al “sistema” smascherato da Luca Palamara; e invocando con impazienza “le riforme che il Presidente Mattarella auspica rapide” eccetera. Che poi fra i magistrati “che hanno sbagliato” vi sia in pagina la foto di Palamara e non quella dei Pm di Milano che si sono visti bocciare dal tribunale otto anni di inchiesta internazionale contro l’Eni, è solo uno degli aspetti curiosi della vicenda.
Nulla vieta che una giornalista Rai di lungo corso si candidi alla presidenza: è già accaduto che al vertice di Viale Mazzini siano approdate le colleghe Lucia Annunziata e Monica Maggioni. A differenza loro, Gabanelli è stata candidata anche alla presidenza della Repubblica: da M5s. E proprio uno dei leader del primo partito in parlamento – Luigi Di Maio – si è reso protagonista giusto in questi giorni di un outing che ha fatto molto rumore: il “pentimento” per la “gogna” – giudiziaria e quindi politico-mediatica – inflitta tre anni fa dai Pm di Lodi all’ex sindaco Pd, Simone Uggetti.
Anche Gabanelli sembra ora a suo modo “pentita”: anche lei aggrotta le ciglia di fronte alle “carriere dei magistrati che avanzano anche in caso di minacce e lesioni a cittadini e forze dell’ordine”. Anche lei ora si chiede – con toni scandalizzati – come sia stato possibile che alcuni magistrati siano “andati avanti” nonostante le censure del Csm.
E sarà pur vero che – ancora nel 2008 – Gabanelli andava orgogliosa di “non aver mai perso una causa” nei primi 11 anni di Report. Ma la magistratura che giudicava era quella lei stessa sembra aver “scoperto” ora, capace di sbagliare le proverbiali 77 volte 7, senza però mai essere chiamata a rispondere o “pagare”. Anzi: sapendo in partenza di poter agire nell’impunità: anche – leggiamo su “Dataroom” – per “usare la posizione di magistrato per conseguire vantaggi ingiusti” (motivazione della radiazione della magistrata Silvana Saguto) oppure nell’imbastire “manovre occulte” (radiazione di Palamara). Quante “manovre occulte” – a cominciare da quelle che hanno sempre più inquinato la magistratura stessa – hanno avuto i media come veicolo principale e decisivo?
Se comunque la “gogna” oggi condannata dal giustizialista pentito Di Maio ha avuto una concretizzazione mediatica, questa è apparsa soprattutto Report: che mandava – a mo’ di ufficiali giudiziari – le sue troupe a suonare senza preavviso ai citofoni (e chi non rispondeva era “ovviamente colpevole a prescindere”). Che inquadrava con una telecamera il proprio giornalista che puntava la sua telecamera come contro l’intervistato “colpevole”, come un Pm che interroga con le manette sul tavolo. Con spezzoni di intervista montati con altri spezzoni, legati da voci narranti su immagini “contestualizzanti”: in uno storytelling che è sempre sembrato tradurre alla perfezione le inchieste a strascico di alcune Procure, le intercettazioni “non pertinenti” a “non indagati” che di punto in bianco diventano scintilla per “altre indagini”, non di rado “a orologeria”, l’Italia popolata di “colpevoli non ancora scoperti” fino a quando un Pm decide di inquisirne qualcuno.
Questo è – comunque lo si voglia giudicare – lo stile giornalistico di Milena Gabanelli: che ha il diritto (giornalistico) di cambiare idea sull’Italia che ha raccontato e in parte contribuito a creare dal 1997 in poi. E ha perfino il diritto di diventare presidente del servizio pubblico televisivo se le forze politiche decideranno così (dicono che suo sponsor principale sia il leader del Pd Enrico Letta, alla costante ricerca di ponti verso M5s). Però difficilmente, Gabanelli, potrebbe eludere una riflessione seria sul “suo” Report. Alla responsabilità civile dei magistrati ci aveva del resto già pensato Marco Pannella, promuovendo nel 1987 il “referendum Tortora” sulla responsabilità civile dei magistrati. Vinto all’80% con affluenza al 65%. Chissà come mai subito dopo – dal 1992 in poi – la “responsabilità” dei magistrati ha preso tutt’altra strada rispetto a quella che gli italiani avevano indicato in un referendum popolare? E a proposito: chissà come Report avrebbe raccontato in diretta il caso Tortora?
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