È partita la campagna per ricevere i contributi previsti dal Decreto sostegni. Secondo le prime comunicazioni diramate dall’Agenzia delle Entrate sono stati già erogati quasi due miliardi di euro di contributi. A livello regionale il maggior numero di domande arriva dalla Lombardia, dalla Campania, dal Lazio e dalla Puglia.
La comunicazione riserva poca attenzione all’importo medio erogato pari a 3.156 euro, meno dei 3.700 preventivati nella relazione tecnica. Viene spontaneo domandarsi, considerati gli importi medi, se sono congrui i ristori erogati in favore di soggetti che non lavorano da almeno quattro mesi.
Nello stesso periodo ha preso avvio la sanatoria degli avvisi bonari prevista dall’art. 5 del Decreto sostegni. Rientrano nella sanatoria tutte le irregolarità riscontrate nella liquidazione delle dichiarazioni comprese quelle relative al disconoscimento di deduzioni e detrazioni non essendo la sanatoria limitata alle imposte dichiarate e non versate. La procedura agevolativa prevede l’azzeramento delle sanzioni, con pagamento di imposte e interessi. Anche qui il presupposto per poter accedere alla sanatoria è il calo di fatturato nel 2020 di oltre il 30% rispetto al 2019. Ma se può accedervi chi ha subito una riduzione di fatturato e, dunque, in difficoltà, con quali soldi potrà pagare se non si riparte? C’è il rischio concreto, dunque, che la sanatoria, in un momento storico nel quale le piccole imprese sono ancora chiuse in conseguenza dei lockdown, possa apparire come una provocazione da chi ritiene i sostegni delle mance.
Diventa difficile, dunque, comprendere lo stupore di chi si sorprende della decisione delle partite Iva di avviare una protesta. Certamente qualcosa è andato storto. Non sono accettabili gli scontri con le forze dell’ordine. Tutti sono dispiaciuti di quanto è accaduto anche perché gli uomini delle forze dell’ordine al pari del personale sanitario stanno vivendo un momento complicato e di super lavoro con esposizione diretta al contagio. Tutti hanno preso le distanze dagli scontri condannando le proteste. Non è del tutto chiaro se a essere oggetto della condanna sono solo gli scontri o anche le rimostranze delle partite Iva.
È evidente che la situazione attuale è il risultato di errori che non hanno insegnato nulla. La vicenda dei contratti per l’approvvigionamento dei vaccini ne è un esempio. Calenda sostiene di aver richiesto più volte i contratti e di non averli ancora ottenuti senza le parti oscurate. È evidente, dunque, che l’Unione europea andrà riformata: ci vuole più politica e meno tecnocrazia.
Se questo è il quadro è giusto dire che le partite Iva stanno sbagliando a chiedere di riaprire? È evidente che la ripresa passa dalla campagna vaccinale. L’Ema in questi giorni ha dato un colpo mortale alla campagna vaccinale lasciando libero ciascun Paese di decidere cosa fare con il siero AstraZeneca. Analoga libertà non si è vista per l’utilizzo del siero russo Sputnik. Non parteggiamo per lo Sputnik, ma osserviamo che San Marino ha fondato la sua campagna vaccinale sul ricorso a esso. Dell’esito della campagna vaccinale di San Marino non si hanno notizie. La popolazione della piccola repubblica è sicuramente variegata, fatta di giovani e anziani, di persone fragili e di persone sane, per cui l’esito della campagna vaccinale è un valido benchmark che consentirebbe di capire se il vaccino è valido o meno. Sarebbe un vantaggio anche per le verifiche dell’Ema.
Ritornando alle partite Iva, già un anno fa avevamo osservato che la pandemia aveva fatto emergere delle disuguaglianze tra le diverse categorie. Oggi si continua a chiedere sacrifici alle partite Iva sostenendo che il diritto alla salute è una priorità. È senz’altro vero, ma altrettanto è vero che il lavoro in qualsiasi forma è altrettanto un diritto costituzionale. Su di una cosa siamo d’accordo: l’unico sostegno efficace può venire dalla realizzazione della campagna vaccinale. Ma se ciò non avviene, in attesa di un auspicato intervento sui costi fissi, quale soluzione per le partite Iva? Altre categorie non stanno subendo le stesse perdite economiche e di salute mentale. Questo procedere è equo? Se siamo in guerra è giusto mantenere le differenze attuali o andrebbe operata una campagna di solidarietà che consenta a tutti di avere un po’ meno e/o un po’ di più?
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