Una settimana fa i profeti delle vicende politiche scommettevano sul fatto che il 28 dicembre Matteo Renzi avrebbe staccato la spina al governo Conte. Oggi è il 27 e nulla lascia presagire il precipitare della crisi strisciante. La zona rossa imposta al Paese è arrivata anche nei palazzi della politica romana: nessuno si muove, nessuno mette piede fuori dal proprio portone. Prima della pausa natalizia, Conte ha detto che “la crisi non dipende più da lui”: come dire che è tutto nelle mani del leader di Italia viva.



Le parole del premier suonano come una nuova tappa nel braccio di ferro. Renzi ha chiesto due cose: che fosse cancellata la task force di Palazzo Chigi per la gestione dei miliardi del Recovery Plan e che il presidente del Consiglio cedesse la delega sui servizi segreti. Il dialogo tra i due si è avviato in modo molto incerto ma un primo risultato è sul tavolo, cioè l’addio alla task force con la quale Conte, in pratica, si sarebbe autoattribuito pieni poteri nell’amministrazione dei soldi, esautorando con un colpo solo governo e Parlamento e adducendo come scusa che “l’Europa lo vuole”.



Resta la seconda richiesta, quella dei servizi. Renzi non arretra nella richiesta di una gestione del potere meno accentratrice, ma Conte è convinto di trovarsi di fronte un mercante nordafricano: l’ex premier chiederebbe 10 per accontentarsi di 5. Di due concessioni chieste, ne ha già ottenuta una, e questo gli dovrebbe bastare. Più di così Renzi non potrà forzare la mano – è la convinzione di Conte –, perché tutti sanno che non ci sarà una crisi di governo al buio, e quindi la minaccia di ritirare i propri ministri dall’esecutivo è semplicemente un bluff. D’altra parte, il leader di Italia viva si è già mostrato più accomodante con Conte: complice anche la chiusura natalizia dei giornali, non sono più echeggiati i suoi ultimatum, o i penultimatum come sono stati ribattezzati dal centrodestra.



La tattica di Renzi si rivela più come una guerra di nervi che un’offensiva diretta. Italia viva non perderà occasione di prendere le distanze dall’esecutivo Conte, ma non prenderà un’iniziativa diretta per farlo cadere: lascerà che si logori nell’autoconsunzione e nella politica dei rinvii, cosa nella quale il presidente del Consiglio è maestro.

Conte crede che la gestione della crisi non dipenda da lui: è esattamente l’opposto. E l’incredibile gaffe di Domenico Arcuri di ieri ne è un esempio eclatante. Oggi saranno effettuate le prime vaccinazioni. Ma per il commissario all’emergenza sono somministrazioni “simboliche”. L’Ungheria è partita in anticipo, la Germania ha già ricevuto 150mila dosi ma l’Italia meno di 10mila, trasportate da un triste furgoncino privato. “Cominciamo molto male”, ha detto Roberto Burioni, che con la sua presenza fissa in tv da Fabio Fazio è il virologo di riferimento del centrosinistra. E Arcuri: “È un primo spiraglio di luce dopo una lunga notte, ma la strada sarà ancora lunga perché possa arrivare il giorno”. Quindi, in Italia siamo alle “dosi simboliche” in un contesto ancora buio. Se continuerà così, Conte non cadrà per le minacce di Renzi. Farà tutto da solo.