C’è un grande lavorio a Palazzo Chigi, una frenesia che da lungo tempo non si vedeva. Elaborazione del programma? Preparazione di decreti? Stesura degli elaborati per dare attuazione alle leggi inapplicate? Per carità, lo staff di Giuseppe Conte è all’opera con un obiettivo assai più elevato: quello di costruire la nuova immagine del premier. La crisi di governo si è portata via la narrazione dell’avvocato del popolo, dell’azzimato professore con la pochette a tre punte, dell’eterno mediatore che tra i due ex litiganti (Luigi Di Maio e Matteo Salvini) avrebbe dovuto godere e invece gli toccava soltanto soffrire.



Quel Conte non c’è più. O meglio: bisogna non ci sia più. È il momento di raccontare agli italiani che alla presidenza del Consiglio ora si trova un uomo risoluto, che non prende ordini da nessuno e tiene saldamente le redini di questo governo che fino a un mese fa era quasi inimmaginabile. La macchina della propaganda è in pieno fermento. Non importa che Conte abbia farcito il discorso di insediamento con lunghe dissertazioni giuridiche guardandosi bene dal dare cifre. Se dopo ferragosto Conte era stato efficace nel cucire su misura l’abito del traditore addosso a Salvini, ora le sue parole sono state molto più fiacche.



Il premier non ha preso impegni perché non è in grado di farlo. Non sa se la sua maggioranza riuscirà a stabilizzarsi e quali vincoli gli imporranno i partner europei. Ma Conte deve anche fronteggiare un Paese stranito, “spaesato” come ha scritto l’analista Ilvo Diamanti su Repubblica. Il suo secondo governo non piace agli italiani: quello gialloverde a luglio aveva un gradimento di 10 punti superiore. E lo stesso presidente del Consiglio incassa una crescente insoddisfazione, pur restando il leader più apprezzato oggi in Italia. La sua nuova immagine serve a consolidarlo come garante non più di una tregua fra litiganti, ma di un patto di legislatura. E lo colloca in una posizione di privilegio, perché i sondaggi segnalano che il gradimento di Di Maio sprofonda. Il premier dunque si propone anche, in prospettiva, come nuovo leader dei grillini.



Così, la prima settimana del nuovo governo è passata senza un solo provvedimento che dia la misura di una compagine che deve incidere con urgenza sui problemi del Paese. A parte il dibattito parlamentare, tutta l’energia è stata assorbita dalla battaglia sui sottosegretari. I decreti sicurezza di Salvini sono in vigore, le aziende in crisi che aspettano segnali dal ministero dello Sviluppo prolungano l’attesa, le grandi opere sono sempre ferme. Del fatto che ora al governo ci sia il Pd invece che la Lega si sono accorti soltanto i fattorini dei ministeri che hanno provveduto ai traslochi.

La “discontinuità” chiesta da Nicola Zingaretti è stata tutta mediatica. Conte che non vuole vicepremier. Conte che a Palazzo Chigi nega uffici a Di Maio e Franceschini, capi delegazione di M5s e Pd. Conte che come primo atto visita i paesi terremotati senza prendere nessun impegno ma assicurando che “analizzeremo le criticità” (dopo tre anni siamo ancora lì) e rassicurando che “non c’è bisogno di un sottosegretario alla ricostruzione perché ci sono io a seguire da vicino la questione”. Conte che impone a Ursula von der Leyen il nome di Paolo Gentiloni come commissario europeo agli Affari economici, salvo scoprire che le sue deleghe sono dimezzate. In definitiva, Conte che cerca di mascherare le difficoltà a ingranare di una maggioranza improvvisata, contraddittoria e ancora priva di iniziativa.