Il personaggio del giorno è Giuseppe Conte, detto “Giuseppi” da Donald Trump: un errore minimo ma che equivale alla conferma che il nostro bis-premier per molti aspetti è ancora un “signor nessuno” sulla scena politica, nonostante la rete di buoni rapporti internazionali intessuta in questi mesi. Conte ha ottenuto il reincarico e si è intestato il compito di guidare la trattativa per la formazione del nuovo governo. E pare che abbia già battuto i pugni sul tavolo: o due vicepremier o nessuno, questa la sua ipotesi di assetto. È stato un errore sottovalutare l’“avvocato del popolo”: per mesi sembrava che comandassero i suoi vice, e alla fine sono stati loro a essere ridimensionati.



Luigi Di Maio è stato costretto a fare un passo indietro, mentre Matteo Salvini nello Studio alla Vetrata del Quirinale ha fatto dichiarazioni da campagna elettorale: ieri sono svanite le residue speranze di andare a votare. Di Maio ha confermato che la Lega gli aveva offerto Palazzo Chigi; dunque il “secondo forno” c’era eccome, ma non è bastato a far cambiare idea ai 5 Stelle.



Ora le domande da porsi sono due, al di là della curiosità sui nomi e sul programma che peraltro è fortissima per capire come i giallorossi affronteranno temi come le grandi opere, la crescita dell’economia e del lavoro, i rapporti con l’Europa. La prima questione è il ruolo di Matteo Renzi, che è il vero artefice di questo ribaltone. L’ex premier con la sua proposta di apparentare M5s e Pd ha colto di sorpresa tutti, Salvini, Di Maio e Zingaretti. La sua linea è uscita vincente e ora lui ha la “golden share”, l’“azione d’oro” di controllo sull’esecutivo. Come la userà? Davvero lascerà che questo sia un governo di legislatura restando buono buono per tre anni a guardare Conte e Zingaretti che conducono le danze?



L’altro interrogativo riguarda sempre il Pd. Zingaretti ieri mattina nella relazione approvata dalla direzione del partito quasi all’unanimità (un solo astenuto, Matteo Richetti) ha detto che le prossime elezioni regionali dovranno essere affrontate “sul versante di alleanze che il nuovo quadro politico potrà favorire”. Insomma, Zingaretti ha in mente di estendere l’accordo politico con i grillini anche al voto in regioni chiave per il Pd: Umbria, Toscana, Emilia Romagna, oltre a Calabria e Veneto. Tre regioni rosse, baluardi del potere degli eredi del Pci dove il vento leghista mette a forte rischio le giunte di sinistra in carica. Del resto, nell’ultimo anno il Pd ha perso tutte le regionali.

Ebbene, se il Conte-bis nasce nel segno dell’antisalvinismo, questo nuovo fronte di liberazione nazionale potrebbe allargarsi e consolidarsi nei prossimi mesi. Al grido di “fermiamo i barbari” che vogliono i pieni poteri, Pd e M5s potrebbero coalizzarsi e blindare il risultato elettorale. Se questo è lo scenario, al momento Salvini non sembra averlo colto. Nelle sue dichiarazioni al Quirinale, il leader leghista non ha mai accennato al centrodestra, a differenza di Silvio Berlusconi. Ancora una volta, sembra che Salvini voglia giocare all’”uno contro tutti”. Una strategia suicida, come si è già visto.