Il Sole 24 Ore chiama apertamente le elezioni anticipate facendo leva su un sondaggio confezionato da Roberto D’Alimonte, già superconsulente di Matteo Renzi. Radio 24 esonera Oscar Giannino – si dice perché troppo critico verso il governo giallo-verde – e arruola Paolo Mieli, ex direttore del Corriere della Sera. Non da ultimo, sullo stesso Corriere, il direttore generale di Confindustria, Marcella Panucci, consegna una linea niente affatto banale in attesa dell’autunno politico economico.



“È necessario arrivare a una sintesi fra Palazzo Chigi e il Viminale”, afferma Panucci, in questi giorni impegnatissima nei diversi vertici con le parti sociali convocati prima dal vicepremier Matteo Salvini, poi anche dal premier Giuseppe Conte. Il capo della struttura di viale dell’Astronomia non appare contrariata da un calendario che sembra confermare una fase di conflittualità e di confusione all’interno della maggioranza di governo. “Sono stati utili momenti di ascolto, ora sta ovviamente all’esecutivo fare sintesi nella manovra 2020”, ribadisce con parole solo in parte di routine.



Neppure troppo in filigrana, dal vertice confindustriale giunge una doppia legittimazione (per Conte definito “super partes”, cioè premier istituzionale, in totale sintonia col Quirinale; e per Salvini) e una neppure troppo implicita delegittimazione di quello che è formalmente il superministro dello Sviluppo in carica: l’altro vicepremier Luigi Di Maio. Ma l’accenno di conversione “governista” di Confindustria non giunge certo inattesa e tanto meno la sua tendenza leghista, due mesi dopo il voto europeo.

Gli sviluppi del dossier Tav (ma anche di quello Ilva) hanno indubbiamente premuto sul terzismo finora interpretato da Confindustria verso il governo e fra i due partner. Anche l’esordio dei “navigator” di Di Maio – dopo quello disastrato del reddito di cittadinanza – non può essere piaciuto a una Confindustria nella quale, fra l’altro, le forti componenti settentrionali non sono certo contrarie all’avvio dell’autonomia in Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna. E restano in attesa di capire quale misura e declinazione potranno assumere le promesse di tagli fiscali alle imprese da parte della Lega (avversate dal meridionalismo pentastellato).



È ovviamente meno evidente, almeno per ora, il versante più squisitamente politico. L’impazienza del Sole per un chiarimento elettorale che interrompa i “tira e molla” sgraditi all’Azienda Paese sembra in prima battuta guardare all’emersione di una maggioranza di centrodestra a guida Salvini. Ma le grandi manovre estive – nella turbolenta arena politica – sono appena iniziate: con l’implosione – forse finale – di Forza Italia e soprattutto con le convulsioni del Pd, in cui la mossa francese di Sandro Gozi è probabilmente meno estemporanea di quanto sembri. E pare incrociare dinamiche strutturali nel riassetto del centro-sinistra italiano: dal futuro del renzismo al recupero del prodismo. Senza dimenticare che fu l’allora direttore romano-milanese del Corriere, Mieli, a lanciare Prodi verso la vittoria elettorale del 2006: risicata ma netta, l’ultima tale da parte del centrosinistra.