I dati sull’economia italiana diffusi alla vigilia del 1° maggio continuano a essere al centro delle dichiarazioni politiche. Ancora giovedì, Luigi Di Maio ha spiegato che la crescita del Pil dello 0,2% registrata nel primo trimestre dell’anno smentisce quanti prevedevano una catastrofe per l’economia italiana nel 2019 e che ancora non si sono visti gli effetti del reddito di cittadinanza sulla domanda interna. «È vero – ci dice Francesco Forte, economista ed ex ministro delle Finanze e per il Coordinamento delle politiche comunitarie – che dal punto di vista statistico non siamo più in recessione, ma siamo in stagnazione. Va poi considerata una cosa importante».



Quale?

La crescita resta sotto la media del resto d’Europa e il risultato ottenuto non è certo merito del Governo, perché questo +0,2% è frutto principalmente dell’export, che è andato meglio di quanto ci si aspettasse. Quindi si tratta di un fattore esogeno. Anche per quel che riguarda il mercato del lavoro indubbiamente abbiamo registrato un miglioramento, che resta inferiore però a quello di altri paesi europei, come la Spagna.



Questi dati economici allungano la vita del Governo?

No, anche perché di fatto non cambiano molto le previsioni sull’anno fatte da istituzioni internazionali e agenzie di rating. Deficit, debito e spread restano a livelli alti e, tenendo presente che c’è la Legge di bilancio in autunno, con le clausole di salvaguardia da disinnescare, c’è poco da sorridere per l’Esecutivo, il quale dovrà affrontare una manovra faticosa. Certo ha i risparmi derivanti dalle risorse stanziante che non verranno spese per Quota 100 e Reddito di cittadinanza, ma non dovrà usarli per la spesa corrente. Gli investimenti e le infrastrutture restano purtroppo al palo, più per le posizioni del Movimento 5 Stelle che altro.



La prossima settimana saranno diffuse le previsioni economiche di primavera dell’Ue. Quale pensa sarà la posizione di Bruxelles nei nostri confronti?

È molto difficile dire che previsione faranno. Io posso solo rilevare che poiché il debito pubblico italiano è anche in mano a soggetti finanziari francesi e tedeschi non c’è un interesse particolare a mettere sotto pressione il nostro Paese. Oltretutto i tedeschi hanno un problema bancario e non credo che desiderino creare una crisi bancaria italiana, che sarebbe conseguente a una crisi del debito pubblico, perché avrebbe effetti anche nel resto d’Europa. L’Italia sarà messa in una situazione di difficoltà, ma non di crisi.

Ci terranno quindi sulla corda…

Faranno sempre in modo che siano necessarie delle misure correttive, ma non andranno oltre. Certo sarà poi importante vedere quale sarà il risultato delle elezioni di fine maggio: se il quadro politico resterà simile a quello attuale, con socialisti e popolari in maggioranza, seppur risicata, è chiaro che cambierà poco. Se le cose andranno diversamente è davvero difficile prevedere cosa potrà cambiare.

Mercoledì Mattarella ha parlato del peso del debito pubblico e il giorno dopo il ministro degli Esteri, Enzo Moavero Milanesi, un tecnico considerato vicino al Quirinale, ha detto che “una nuova risorsa propria per il bilancio della Ue può essere rappresentata dall’emissione di titoli di debito europeo”. Vede un qualche collegamento tra le due dichiarazioni?

La tesi di Moavero riguarda la possibilità di poter fare una politica fiscale europea. È una proposta che da tempo sostengo, ma per attuarla occorre cambiare una regola nella Costituzione europea per cui il bilancio dell’Ue deve essere in pareggio. Oppure occorre inventarsi qualcosa (diverso però dalla proposta di Macron di usare l’Esm), come il fondo fuori bilancio, ma annesso allo stesso, che ho proposto tempo fa. Questo fondo, gestito dalla Commissione, garantito dal bilancio Ue, potrebbe emettere titoli per finanziare progetti infrastrutturali, collegandosi anche alla Bei.

L’Italia ne avrebbe un qualche vantaggio?

Naturalmente la politica fiscale europea ci porterebbe grande beneficio, perché potremmo fare investimenti, che aiutano la crescita, senza attingere al bilancio pubblico. Tuttavia finché c’è un Governo, o meglio una parte di esso, che è contro le infrastrutture, è praticamente impossibile riuscire ad avere un qualche vantaggio. L’idea di Moavero viene chiaramente dal Capo dello Stato, è molto intelligente e realizzabile, ma fa emergere le tesi anti-sviluppo dei 5 Stelle. Salvini dovrebbe quindi decidersi a staccare la spina, cosa che può essere condizionata dal caso Siri, che rischia di trasformarsi in un processo a tutta la Lega.

Conte ha chiesto le dimissioni di Siri, ma per ora Salvini non sembra voler arrivare alla rottura…

Penso che aspetti le europee, che non se la senta di rompere prima. Ma dopo dovrà farlo, perché i 5 Stelle hanno fatto un attacco molto pesante.

In che senso?

Siri è l’ideatore della flat tax della Lega, colui che ha anche proposto la modifica al reddito di cittadinanza per fare in modo che vada alle imprese che assumono chi lo percepisce, oltre che un esponente del partito di Salvini a Genova, la città di Beppe Grillo dove i pentastellati sono stati sconfitti, e un sostenitore della Tav: a Di Maio e soci non è parso quindi vero di potersi liberare di lui. Salvini non potrà non reagire a questo attacco, anche perché ritengo, come ho detto, che il caso possa investire i vertici della Lega, altrimenti sarebbe stato piuttosto semplice anche per il vicepremier “scaricare” il sottosegretario. Non dimentichiamo infine che ci sono i governatori della Lega che non potranno aspettare molto per l’autonomia.

(Lorenzo Torrisi)

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