Vivendi ha bocciato come insufficiente l’offerta del fondo Usa Kkr su Tim e “non intende dismettere la propria la quota”. Non solo: il gruppo francese, primo azionista (23,4%) di Tim, intende far dimettere l’Ad Luigi Gubitosi nel Cda di venerdì e cerca una sponda nel governo, secondo azionista con Cdp (9,9%). “Il governo valuterà giustamente l’interesse pubblico, che è sotteso a una rete che ha profili anche strategici quando l’Opa ci sarà e quando il piano sarà dettagliato”, ma non si esprime sul management, ha detto ieri il ministro per lo Sviluppo economico Giancarlo Giorgetti.



Un passaggio delicatissimo, per l’azienda italiana, che si consuma proprio nel giorno in cui Macron firmerà con Draghi il controverso trattato del Quirinale. La manifestazione di interesse di Kkr – di cui è partner, tra gli altri, l’ex generale Usa David Petraeus – è arrivata appena in tempo per proiettare sulla firma l’ombra delle “coincidenze significative”, così le chiama Antonio Pilati, saggista, esperto di comunicazione, componente dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato tra il 2004 e il 2012.



Si legge sui giornali che Gubitosi potrebbe avere sollecitato l’azione di Kkr perché Vivendi voleva un cambio al vertice di Tim. Che ne pensa?

Non so cos’abbia fatto Gubitosi. Va però detto che Tim è un’azienda con grossi problemi. Li farei risalire ad almeno tre fattori.

Vediamoli. Il primo?

Il mercato è molto difficile perché i prezzi di vendita dei servizi sono piuttosto bassi e rendono complicato effettuare gli investimenti necessari.

Questo non è vero solo per Tim.

Infatti. Vale anche per Vodafone e Wind, soprattutto da quando è entrato un operatore spregiudicato come il francese Iliad. È una conferma dell’oggettività del problema.



Il secondo fattore?

Tim attraversa da troppo tempo una stagione di instabilità. Vivendi è l’azionista di maggioranza relativa, ma non è in grado di dare un indirizzo all’azienda.

Terzo elemento?

L’insofferenza di Vivendi per come stanno andando le cose. Va detto che Vivendi critica Gubitosi, ma prima di lui aveva voluto Amos Genish, poi sfiduciato perché ritenuto insoddisfacente per gli azionisti.

In questo quadro arriva la proposta del fondo Kkr. Possiamo essere ottimisti?

Non conosciamo ancora il piano industriale, ma un socio al 51% che esprime una buona capacità di direzione e di indirizzo offrirebbe all’azienda un punto fermo. Kkr è un fondo dotato di notevoli risorse finanziarie ed esperienza di gestione. Ovviamente bisogna che la due diligence sia soddisfacente per Kkr e permetta di formalizzare l’offerta. Non ultimo, il governo sembra essere stato informato in anticipo.

Se tutte queste condizioni fossero soddisfatte?

La stabilità potrebbe consentire a Tim di affrontare i nodi irrisolti. Servono investimenti per aggiornare e sviluppare la rete, va colmato il ritardo nel passaggio alla fibra ottica. A livello strategico, si pone poi la questione se Tim resterà integrata o sarà spacchettata.

Secondo lei?

Lo spacchettamento è un’attività in cui Kkr è molto abile e consente di valorizzare le singole parti. Potrebbe essere il caso di Tim, ma con un’avvertenza: la rete è il principale asset di Tim e il debito ingente di Tim ha come garanzia essenzialmente la rete. quindi lo spacchettamento, che potrebbe avere senso sotto il profilo industriale, deve trovare risposta anche sul piano finanziario.

Non crede che dovrebbe essere il contrario? Come commenta il dibattito sull’italianità della rete?

Il problema della rete non è solo quello di fare investimenti; l’Italia deve prendere decisioni strategiche. Cdp, controllata dal Mef, detiene il 60% di Open Fiber: che intende fare? Vuole svilupparne l’azione in autonomia o cerca un’integrazione con l’infrastruttura di Tim? Ritorna il tema della rete unica delle telecomunicazioni: per gli investimenti da fare è meglio la concorrenza tra due operatori infrastrutturali oppure la concentrazione delle risorse?

Del super-comitato insediato da palazzo Chigi per valutare l’offerta Kkr fanno parte Franco, Giorgetti, Colao, Garofoli e Giavazzi. Sono tutti d’accordo sul da farsi?

In questa fase il governo ha soprattutto un compito di “vigile attesa”. Prima dobbiamo sapere qual è il piano di sviluppo di Kkr. Rete compresa.

Questa partita si intreccia con il cosiddetto trattato del Quirinale, che sta per essere firmato da Macron e Draghi?

Sul piano formale le due partite sono del tutto separate. Però non possiamo dimenticare che i francesi stanno facendo da molto tempo uno shopping intensivo di aziende italiane e sono una presenza forte nel nostro sistema industriale. Cosa che non si può dire dell’Italia rispetto alla Francia, vedi la vicenda Fincantieri-Saint Nazaire.

Insomma un nesso c’è, ed è politico.

C’è un trattato internazionale che viene firmato nello stesso giorno in cui si riunisce il Cda di Tim per valutare le possibili azioni di Vivendi sul management, e mentre si attendono nuove mosse di Kkr. Vogliamo chiamarla coincidenza significativa? Ciò detto, capire cosa sia il trattato del Quirinale è un po’ arduo, visto che non conosciamo una sola riga di quello che Draghi firmerà venerdì. In attesa di sapere qualcosa, resta il fatto che, oltre allo squilibrio industriale, la postura della Francia verso l’Italia negli ultimi anni non è stata certamente amichevole. Chi ha gettato la Libia nel caos?

Come mai, se questo è vero, l’Italia sembra firmare in un clima di collaborativa subordinazione?

Ma perché parla la storia. È dai tempi di Carlo VIII, cioè dalla fine del Quattrocento, che i francesi cercano di espandersi nella penisola. A cominciare dal Nord Italia.

Draghi sembra muoversi di perfetto concerto con Mattarella, primo sponsor del trattato.

Draghi ha senz’altro ottimi rapporti con gli Usa, che in questi tempi hanno dimostrato di avere una considerazione della Francia non eccessivamente alta. Parigi spesso si muove con ambizioni sproporzionate rispetto alla sua forza reale. Tutte cose che sono ben presenti a Draghi.

Quindi?

Io francamente vedo vantaggi per la Francia, non riesco a vedere quelli per noi. È un mio limite.

Il trattato riguarda anche il tema della Difesa, dove l’Italia ha eccellenze di livello mondiale come Oto Melara, al centro di rumors circa una sua vendita a Knds (consorzio franco-tedesco) piuttosto che a Fincantieri-Rheinmetall (quest’ultima tedesca). C’è il rischio che l’Italia perda ulteriore autonomia?

È un rischio reale. I francesi hanno sempre cercato di massimizzare la loro influenza nell’economia italiana non certo in una prospettiva di parità. Il trattato potrebbe aumentare la loro forza negoziale in ambito europeo e la loro capacità di azione nel contesto nordafricano.

E dal nostro punto di vista?

Noi invece abbiamo interessi non allineati con quelli francesi in Libia e in Europa dovremmo anteporre i rapporti con la Germania. A sua volta, Berlino ha con Parigi un rapporto pluridecennale che è il perno di questa Europa e che l’Italia non può cambiare a suo vantaggio. E poi, ripeto, bisogna vedere cosa c’è scritto.

(Federico Ferraù) 

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