Sostiene Enrico Letta che le elezioni del 3 e 4 ottobre saranno le prove generali del ritorno al bipolarismo e che, di conseguenza, non c’è più spazio per posizioni intermedie fra l’asse giallorosso e la destra di Salvini e Meloni. Più che un’annotazione politologica sembra un pio desiderio, un wishful thinking, direbbero gli inglesi.



Il centro non è morto e in tanti manovrano per occuparlo, con l’intento, niente affatto celato, di determinare i futuri assetti del paese. C’è Gianfranco Rotondi, che ha dato vita in questo fine settimana all’ennesimo partitino, “Verde è popolare”. C’è Carlo Calenda, con la sua “Azione”, che potrebbe decollare in caso (poco probabile) di successo a Roma nella corsa per il Campidoglio. C’è, soprattutto, Matteo Renzi, niente affatto intenzionato a recitare il ruolo di comprimario nel campo del centro sinistra targato Letta-Conte.



Per lui lo spazio per un’area riformista è tanto ampio da rappresentare una prateria. E, quanto a se stesso, dice che da anni lo danno per morto, ma lui rimane pervicacemente in campo. Ma da cosa gli viene tanta sicumera? Probabilmente dal dialogo con Forza Italia, un’attitudine che ondeggia dal corteggiamento alla smania di annessione della galassia un tempo berlusconiana, o quantomeno di una parte significativa di quel mondo e di quell’elettorato.

Non c’è dubbio che Forza Italia rappresenti uno dei due grandi malati del sistema politico italiano (l’altro sono i 5 Stelle), anche perché Berlusconi, che fra due giorni compirà 85 anni, appare sempre meno in pubblico e si limita a messaggi telefonici e scritti. Una leadership tanto malferma rappresenta un collante sempre più debole, specie in quello che è il paradigma di tutti i partiti personali.



Quella che una volta era la forza egemone del centrodestra naviga nei sondaggi nazionali fra il 7 e l’8%. Indispensabile per una possibile vittoria dell’asse ora dominato da Salvini e Meloni, ma non in grado di indirizzarne la politica. In più sembra frantumata in tanti frammenti, con alcuni dei più moderati, come i ministri Brunetta, Carfagna e Gelmini, più attratti da Draghi e Renzi che dall’asse sovranista. E l’idea di una federazione con la Lega sembra essere stata accantonata, nonostante fosse stata benedetta da Salvini in persona. Troppe le resistenze interne al piccolo mondo azzurro: il leader della Lega ne ha preso atto con disappunto e come contromossa ha aperto le porte a una serie di transfughi, due consiglieri regionali lombardi e alcune decine di amministratori locali.

Il grande freddo fra Lega e Forza Italia rappresenta un’occasione irripetibile per Renzi, per proporsi come federatore degli orfani del berlusconismo con le sparse membra del pulviscolo centrista, nonostante le pessime percentuali attribuite oggi alla sua Italia viva. Le strizzate d’occhio con il Cavaliere di Arcore non sono mai mancate, anche se un recente incontro a Villa Certosa per parlare di Quirinale è stato ufficialmente smentito.

Nella difficile partita del dopo Mattarella Renzi dispone di una quarantina di voti: non possono essere decisivi, ma potrebbero avvicinare uno dei due schieramenti all’obiettivo a partire dalla quarta votazione, quando servono 505 voti, la maggioranza assoluta, qualora non vi fosse un accordo largo su un candidato di tutti. Il centrodestra, se unito, parte da 450 consensi circa, il centrosinistra da 430. E Renzi non fa mistero che con Salvini e il centrodestra l’interlocuzione è avviata.

Letta è avvisato, se si cullasse nell’idea di fare da solo rischierebbe un brutto risveglio, un capo dello Stato scelto dal centrodestra con Renzi, che a quel punto si ammanterebbe del prestigio di essere stato ancora una volta determinante, come nella nascita dei governi Conte 1 e 2, così come dell’esecutivo Draghi. Renzi king maker, è il ragionamento che viene riferito, dimostrerebbe che esiste un varco politico fra Salvini e Meloni da una parte, Letta, Conte e Speranza dall’altra. E probabilmente anche la discussione su una possibile riforma della legge elettorale potrebbe esserne influenzata, in direzione di una soluzione proporzionale.

Ancora una volta “Enrico, stai sereno”, insomma. La definizione dei futuri equilibri politici potrebbe passare di nuovo da Rignano sull’Arno, anche se gli oppositori di Renzi certo non staranno a guardare.

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