Dal tempo dell’“Enrico stai sereno” non hanno mai fatto pace. E da quando Letta è tornato da Parigi per raccogliere da Zingaretti la guida del Pd hanno ripreso a duellare come se non ci fosse un domani.
La guerra infinita fra Renzi e Letta costituisce un punto debole per entrambi, ma per Letta di più. Il segretario democratico non solo ha da fare i conti con la debolezza dell’alleato principale pentastellato. Non solo deve fronteggiare il nemico con cui siede al governo, quel Salvini che spesso lui attacca scompostamente per primo. Deve anche guardarsi da chi gli soffiò il posto a Palazzo Chigi sette anni fa, e che sa fare un uso spregiudicato del proprio potere d’interdizione.
Quando i maggiorenti del Pd hanno supplicato il professore di Sciences Po di tornare a Roma, Renzi aveva contribuito in modo determinante a fare e disfare il governo per la terza volta in tre anni. Prima il no all’esecutivo con i 5 Stelle, all’indomani del voto del 2018. Poi il via libera alla stessa alleanza l’anno successivo. Da ultimo il logoramento che ha portato alla caduta del Conte bis e all’arrivo di Draghi.
Dal ritorno di Letta in poi, Renzi ha sistematicamente sabotato tutti i tentativi di consolidamento dell’asse giallorosso, e pure con discreti risultati, anche se non tutti per merito suo. Molto pesano le divisioni interne al Pd e le difficoltà di Conte ad assumere la leadership della galassia grillina. Problemi evidenti nelle difficoltà a mettere in campo candidature comuni alle amministrative d’autunno.
Renzi sembra metodico nel cercare di incunearsi fra Pd e M5s. Sa come farlo, conosce i nervi scoperti da colpire. Si è visto sulla giustizia, con la firma dei referendum proposti da Lega e radicali, in spregio alla riforma Bonafede. O, ancora, nel chiedere una revisione del reddito di cittadinanza, sino a spingersi a ipotizzare (per il prossimo anno, con calma) una raccolta di firme per proporre una consultazione referendaria tesa ad abrogare la bandiera dei grillini.
Colpi di sponda, parlare a nuora perché suocera intenda. E poi colpi diretti, come il rompere il fronte del centrosinistra sul ddl Zan, oppure il pressing sul Monte dei Paschi di Siena, autentico tallone d’Achille dei democratici. La prospettiva dello “spezzatino” per la banca più antica del mondo manda in bestia il Pd, e la vicenda finisce per intrecciarsi con la candidatura di Letta alle suppletive che si svolgeranno proprio nella città del Palio. Renzi sta tenendo il leader democratico sulle spine. Probabile che alla fine l’appoggio di Italia viva ci sarà. Ma sarà reale o finto? Ci dobbiamo fidare, si chiedono i dem toscani? E Renzi davvero è in grado di influenzare una fetta significativa dell’elettorato del collegio? Qualcuno dice che il suo partitino valga il 7% da quelle parti, ma anche i militanti renziani potrebbero ritenere troppo spregiudicate le mosse del proprio leader.
Il punto è proprio questo: Renzi sa di poter essere determinante in molte partite, ma non sembra raccogliere simpatie nell’elettorato. I sondaggi continuano a segnalarlo mestamente intorno al 2%. Non sfonda, quello spazio centrale che vorrebbe occupare rimane desolatamente vuoto, e fra i colonnelli di Italia viva serpeggia più di un dubbio.
L’ultima chiamata per Renzi sarà la corsa al Quirinale. Con i suoi 44 parlamentari potrebbe essere davvero decisivo, perché potrebbe avvicinare alla quota fatidica dei 505 consensi (necessari dal quarto scrutinio in poi) uno dei due blocchi, che partono da posizioni quasi pari, fra i 430 e i 440 voti. La logica vuole che l’ex sindaco di Firenze non possa accettare alcun nome espresso dal Pd. Non Franceschini, non Veltroni e nemmeno Prodi, per capirci. O parte un’operazione ampia su Draghi o su un improbabile Mattarella bis, altrimenti c’è spazio per un’intesa con il centrodestra, di cui già si mormora, intorno al nome di Pierferdinando Casini.
Formalmente l’ex presidente della Camera è un senatore eletto con il Pd. Ma con il centrodestra ha mantenuto buoni rapporti, ne potrebbe garantire l’approdo a Palazzo Chigi nel 2023 (o già nel 2022). Per Letta forse il peggior candidato possibile, perché un pezzo del suo partito lo voterebbe. Resta da vedere se il centrodestra si muoverà compatto. E se Renzi potrà essere il kingmaker del successore di Mattarella.
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