L’esternazione tv di Grillo ha prodotto una sorta di tsunami politico: da un lato ha destabilizzato il partito di maggioranza relativa in Parlamento nel momento della sua transizione verso la leadership di Conte; e dall’altro ha raffreddato “le grandi manovre” finalizzate a creare a breve scadenza uno scenario post-Draghi con scioglimento delle Camere dopo l’elezione a gennaio del Presidente della Repubblica.



Significativo è il cambio di passo di Enrico Letta, che all’indomani della sua elezione a segretario del Pd aveva avviato le consultazioni con gli altri leader politici (Conte, Leu, Calenda, Bonino e persino Renzi) per dar vita immediatamente a “nuovo Ulivo” e nuova legge elettorale introducendo anche temi divisivi nella maggioranza di governo come lo ius soli. Nell’ampio intervento sul Corriere della Sera del 22 aprile Letta ha invece posto al centro dell’attualità politica non la creazione di un cartello elettorale, ma l’avvio di una politica di unità nazionale e cioè “un grande Patto per la ricostruzione del Paese”. Ha quindi indicato e stabilizzato Draghi sul modello di Ciampi ’93 per dar vita a “una nuova stagione di concertazione”. È così che nel pur ampio testo scompare ogni accenno all’obiettivo che pochi giorni prima aveva messo invece al centro della relazione tenuta all’assemblea nazionale del Pd e cioè “Un nuovo centro-sinistra guidato da noi, attorno a noi che dialoga con il M5s”.



Di fronte a Salvini che prende le distanze dal governo, aumenta nel Pd la tendenza a “far quadrato” intorno a Draghi e sembra perdere quota la valorizzazione salvifica del M5s come “populismo sociale” (Bettini) o “populismo gentile” (D’Alema).

Il M5s è infatti oggi in campo come un enorme punto interrogativo. Beppe Grillo finora è stato il “padre padrone” e lo stesso rapporto con l’“avvocato del popolo” in queste settimane è stato quello del padrone con l’amministratore delegato: Conte ha continuato a proporre e Grillo a decidere.

Ma ora Giuseppe Conte si pone come leader-rifondatore con pieni poteri: il M5s deve diventare il “suo” movimento. E l’ex premier già detta la linea alla delegazione di governo in modo revanscista nei confronti di Draghi incalzandolo con ultimatum sul superbonus.



Il vertice del Pd auspica che Conte possa stabilizzare rapidamente il M5s come alleato ridimensionato e subalterno. Ipotesi comprensibile, ma molto incerta. Conte infatti annuncia la “rifondazione” ai primi di maggio, ma sta cercando ancora una nuova “piattaforma” che possa eleggerlo e soprattutto non ha la lista degli iscritti.

In questo quadro incombono le elezioni comunali di ottobre. Gli scogli sono due. Il primo riguarda il varo dell’alleanza organica tra Pd e M5s che finora si delinea solo a Napoli. Anche a Milano il sindaco Beppe Sala, che si era esposto nel rapporto diretto con Beppe Grillo, ora dichiara: “Del M5s non c’è bisogno”, lasciando la porta semiaperta per il ballottaggio. Non va dimenticato che a Milano il 40 per cento ha votato contro il taglio dei parlamentari nel referendum. E non certo per amore del numero degli eletti, ma per rifiuto del grillismo. L’altro scoglio è la conta dei voti. Finora i sondaggisti fotografano un elettorato grillino sempre stabile da Conte a Draghi. Ma è davvero così? Inoltre è proprio nelle elezioni locali che il M5s si è dimostrato maggiormente fragile.

A complicare le attese elettorali e i residui tentativi di alleanza tra Pd e M5s c’è la rottura con Davide Casaleggio che, tenendosi la lista degli iscritti, delinea una scissione con la nascita di un movimento alternativo nel solco della “democrazia digitale” teorizzata dal fondatore di Rousseau.

In tale contesto Mario Draghi prosegue segnando discontinuità rispetto a Conte su Recovery Plan e Piano di vaccinazione e assumendo un ruolo di primo piano nella politica europea.

Però da un lato Matteo Salvini sugli orari delle riaperture e dall’altro Giuseppe Conte con il superbonus incalzano il governo: l’ex premier cerca di indebolirlo, il primo cerca di strappare concessioni a favore delle categorie più colpite.

È da vedere quindi come il segretario del Pd reagirà di fronte al revanscismo di Conte già all’assemblea indetta da Goffredo Bettini per il 29 aprile che si prefigura come una “messa nera” anti-Draghi. Il segretario del Pd dovrà evidenziare se considera prioritario il rapporto con il futuro capo del M5s o con il premier.

Se Letta e Salvini non mettono da parte l’impazienza di conquistare Palazzo Chigi, assisteremo alla partita su chi “regalerà” Mario Draghi all’avversario.

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