Ora Grillo usa perfino Di Pietro per salvare M5s. “Era un po’ che non sentivamo parlare di Grillo” dice Paolo Becchi, filosofo del diritto e opinionista, sempre ben informato di cose grilline. E invece ecco che il “garante” è di nuovo a Roma per una girandola di incontri. Con Di Pietro, per fargli dire che Paragone è in dissenso ma non per questo va espulso. Con l’ex pm e Elio Lannutti, sul cui nome un accordo in maggioranza per la presidenza della commissione banche è impossibile (e Lannutti non intende ritirarsi). Ma soprattutto per arginare la disgregazione del fu Movimento a 5 Stelle. E arrivare al 2022.



“Grillo deve dire qualcosa. Può svolgere tutti i ruoli, però ufficialmente è il garante” ragiona Becchi.

Ci aiuti: garante di che cosa?

Delle regole. Grillo è sempre stato per le regole. Da quella dei due mandati al resto. Ad esempio: se uno non vota la fiducia è fuori. Ma allora un problema c’è, perché 5 senatori la fiducia non l’hanno votata (Mininno, Ciampolillo, Di Nicola e Mario Giarrusso non hanno partecipato al voto; Paragone ha votato no, ndr). E allora come mai Gregorio De Falco pur non aver votato la fiducia è stato espulso e questi no?



Due pesi e due misure. Ai tempi dell’espulsione di De Falco M5s era molto più forte, al contrario di adesso.

Il fatto che è che se ci fossero nuove espulsioni i numeri diventerebbero ancor più risicati. Tre senatori sono passati alla Lega, cinque non hanno votato. Fanno otto. È un problema politico. Ma c’è di più: M5s non si va frantumando solo in questa direzione.

Cioè a favore della Lega. E invece?

C’è un’altra potenziale emorragia di cui nessuno parla. Dario De Falco lavora sotto-traccia per aiutare il Pd. Ci sono 10 senatori pronti a seguirlo, non per andare nel gruppo misto ma per formare un gruppo autonomo. Renzi insegna: quando ha fatto Italia viva si è appoggiato ai socialisti di Nencini, perché il nuovo regolamento del Senato vieta la costituzione di gruppi autonomi nel corso della legislatura.



E non sembra sufficiente a evitare il trasformismo. Con chi parlano De Falco e i suoi?

Con Tabacci e Della Vedova, per ora. E tutto questo diventa pesantissimo per Grillo. Il Movimento si frantuma sia sul lato destro sia sul lato sinistro.

Insomma Dario De Falco sta facendo nei 5 Stelle quello che ha fatto Renzi col Pd. L’obiettivo?

Creare un puntello fedele al Pd per qualsiasi evenienza. Mentre c’è una frangia M5s contro il governo, se ne crea un’altra al di fuori di M5s a sostegno di Conte. Che siano l’embrione di un futuro partito di Conte, poco importa ora, perché Conte è organico al Pd.

Torniamo a Grillo.

Il paradosso è che mentre Di Maio sta realizzando la trasformazione del Movimento in partito, il partito si sta dissolvendo. Buffo no? Ecco perché Grillo è a Roma.

Secondo lei che obiettivo ha in mente?

Di arrivare al 2022 per mettere Prodi al Quirinale. I due sono in rapporto da tempo.

Forse da quando Grillo venne chiamato dalla sinistra Dc di De Mita e Prodi a dar dei ladri ai socialisti? Siamo a “Fantastico 7”, nel 1986.

Ecco. Non solo. Se ci ricordiamo bene, quando il Movimento 5 Stelle fece le “quirinarie” non c’era solo Rodotà, c’era anche Prodi.

Ma M5s ci arriva al ’22?

Intanto Grillo ci prova. Può riuscirci soltanto se non ci sono le elezioni. Io credo che l’impresa sia impossibile, non penso che il paese possa durare in questo stato di coma profondo per altri due anni.

Nemmeno Salvini vuole votare. Altrimenti perché avrebbe proposto un accordo bipartisan?

No, Salvini vuole il voto. Sono manovre tattiche per dimostrare di essere disponibile a tutto pur di salvare il paese mentre chi sta al governo lo affonda. È una mossa per mettere in difficoltà ulteriore Conte. E Renzi, a quanto pare, ci sta.

Dunque secondo lei tutti e due hanno interesse ad andare al voto anticipato.

Sì, Salvini perché è il leader dell’opposizione, e Renzi perché se dovesse passare la riforma costituzionale che taglia i parlamentari non potrebbe certamente far rieleggere tutti quelli che lo hanno seguito in Iv. È lui ad avere interesse a votare prima dell’entrata in vigore della riforma. Entrambi lavorano Conte ai fianchi, uno dall’opposizione e l’altro dal governo.

Di Maio?

La Sabatini è espressione diretta di Davide Casaleggio e il suo ingresso nel gruppo dei facilitatori è il commissariamento definitivo di Luigi. M5s poteva essere rilanciato solo dal basso, non dall’alto con una operazione verticistica. Così è finito.

Anche la commissione di inchiesta sulle banche è una spina nel fianco del governo. Lannutti non vuole cedere. Come andrà a finire?

Non lo so, lo scopriremo solo vivendo. Ma poi Lannutti non era proprio con Di Pietro nell’Italia dei valori?

(Federico Ferraù)