Il Mes non si tocca, nonostante le rassicurazioni in senso contrario di Giuseppe Conte. Ieri a Bruxelles si è riunito l’Eurogruppo e al termine il presidente, Mário Centeno, portoghese, ha gelato gli entusiasmi del premier italiano che a giugno aveva dato un sostanziale via libera e adesso tenta una disperata retromarcia. “Non vediamo ragione per cambiare il testo” del nuovo salva-Stati, ha detto Centeno in linea con quanto a casa nostra sostiene il Pd ma contro i voleri di Luigi Di Maio. Conte si dibatte disperatamente tra i veti incrociati. La sua linea è sempre la stessa: rinviare. Vecchia scuola democristiana o vecchia tecnica da avvocati. Prendere tempo sperando che scatti la prescrizione e vada tutto in cavalleria.



Conte era al vertice Nato di Londra. Al Corriere della Sera e al Fatto Quotidiano ha dato interviste che meritano il premio Equilibrista dell’anno. Il premier è certo di poter ottenere un rinvio. “Noi ci stiamo muovendo in una logica di pacchetto, abbiamo fatto un vertice di maggioranza su questo”, ha detto. E che cosa significa pacchetto? “Il progetto comprende unione bancaria e monetaria: è giusto che l’Italia si esprima solo quando avrà una valutazione complessiva su dove si sta andando, io ancora non ho firmato nulla, tantomeno una cambiale in bianco”. L’unica cosa chiara è il tentativo di guadagnare tempo per la “valutazione complessiva”, visto che ci sono davanti altri mesi prima della firma. Ma nel resto del labirinto che cosa succede? Se il Mes non si tocca, l’Italia cercherà di battere i pugni sul fronte bancario? Che diranno i 5 Stelle, che odiano le banche almeno quanto il Mes?



Dal Pd si moltiplicano i segnali di nervosismo. Alle interviste di Conte ha fatto eco Graziano Delrio su Repubblica, esasperato dai “ricatti di Di Maio” e a sua volta portatore di un avvertimento: “Il Pd non teme le elezioni”. Dal canto suo, Matteo Renzi si dice “pronto a votare con Forza Italia contro la riforma della prescrizione” che entrerà in vigore il 1° gennaio. Le tensioni tra Di Maio e Salvini nel Conte 1 non erano nulla a confronto della crisi latente del Conte 2, che ha sempre viaggiato sull’orlo del burrone senza però arrivare sul punto di precipitare.

È un governo che sfida le leggi della gravità, e forse anche quelle del buonsenso. Giuseppe Conte deve avere parecchi santi in paradiso per reggere in questa situazione. Ai santi egli affianca doti fenomenali di incassatore. “Giuseppi” prende sberle da tutti, alleati di maggioranza, partner europei, mercati, e perfino dal suo grande amico Donald Trump il quale ieri ha garantito che l’Italia si fermerà sul 5G con i cinesi, proprio l’opposto di quanto Conte e Di Maio avevano promesso a Pechino.



Lo scenario di un presidente del Consiglio italiano che assomiglia a un punching ball fa comodo a tutti. Gli alleati possono scaricare su di lui tutte le tensioni interne di una maggioranza ancora in cerca di un collante che non sia l’antisalvinismo. I partner internazionali possono far passare di tutto sopra la sua testa, e sopra il Paese. Le istituzioni, a partire dal Quirinale, fanno mostra di garantire una parvenza di governabilità pur di approvare la legge di bilancio, di non avere Salvini tra i piedi e di pilotare una successione morbida a Mattarella. Conte riesce perfino a bypassare lo scandalo, svelato dalle “Iene”, sul modo con cui ha conquistato la cattedra da professore ordinario prima dei 40 anni. Un capolavoro di baronia in stile prima Repubblica. Molti altri sono caduti per molto meno. Troppi interessi e poteri forti convergono perché “Giuseppi” resti a Palazzo Chigi a qualunque costo. E così sarà, almeno per qualche altro mese.