Negli ultimi giorni le prime pagine dei quotidiani sono monopolizzate da due polemiche politiche: il presunto dossieraggio di un finanziere utilizzando l’intelligence finanziaria della Direzione nazionale antimafia ai danni del ministro Guido Crosetto insieme a decine di altri nomi, e il voto del Parlamento sulla delega fiscale. Siamo su piani diversi: l’embrione della riforma tributaria è il primo passo di un percorso legislativo che sarà compiuto nei prossimi mesi, mentre il polverone sull’ufficiale delle Fiamme gialle ha assunto – almeno in questa fase – il ruolo che un tempo rivestivano i tormentoni estivi di cronaca nera. Per alcuni è una montatura, per altri una fonte di altissima preoccupazione, per altri ancora un’eventualità impossibile. Essendoci indagini in atto, per ora si tratta sostanzialmente di aspettare che esse facciano il loro corso. Le polemiche e i colpi bassi tra testate giornalistiche riguardo i dossier della Finanza riempiono tante pagine, ma il sospetto che si tratti di un diversivo che distoglie l’attenzione da altri fatti è forte.



Anche sulla delega fiscale si discute molto. Il via libera alla legge quadro è un atto politico di indirizzo: in quel quadro c’è la cornice ma manca il dipinto. Fuori di metafora, il Governo ha incassato un voto favorevole sulle intenzioni e sulle linee guida, ma i provvedimenti veri saranno contenuti nei decreti delegati che prenderanno forma soltanto in autunno. Giusto discutere, ma anche in questo caso – come per i dossier – si attendono i fatti concreti.



Più reali, benché più sotterranei, sono invece i movimenti rilevati dai sismografi più sensibili alle mosse del Quirinale. Nelle ultime settimane dal Colle sono partiti segnali che possono essere interpretati come richiami indirizzati al Governo. Accenni che dovrebbero mettere in guardia l’esecutivo Meloni. Dopo l’insediamento, la premier ha goduto di un sostanziale avallo dalla presidenza della Repubblica. Si era parlato addirittura di una luna di miele, o comunque di un’apertura di credito presso le cancellerie europee garantita dal Quirinale a favore del nuovo Governo di destra. Giorgia Meloni si è mossa con abilità in questo contesto, conquistando credibilità nell’Ue e anche oltre Atlantico, come ha mostrato l’esito della breve visita a Washington.



Ora però dal presidente della Repubblica stanno arrivando messaggi che fanno pensare a un contesto nuovo. Alla cerimonia del ventaglio alla presenza della stampa parlamentare, il presidente della Repubblica è stato molto duro con l’esecutivo. Ha detto che “le Camere non sono un contropotere giudiziario”: non devono cioè invadere le competenze di altri ordini costituzionali rispettando “l’ambito di attribuzioni affidate ad altri poteri” senza pretendere “di fare abusivamente la parte di altri”. Nello stesso discorso era poi contenuto un pesante richiamo sui tempi di attuazione del Pnrr. E pure una forte critica al “ritardo” sulla transizione ecologica: argomento sul quale Mattarella ha calcato la mano pochi giorni dopo con l’appello sottoscritto assieme ad altri cinque capi di Stato del Mediterraneo in cui si sostiene che “la crisi climatica ha raggiunto dimensioni esplosive”.

Sono segnali, messaggi da leggere in controluce, istituzionalmente raffinati, il cui significato appare però univoco: la luna di miele tra Quirinale e Palazzo Chigi sembra tramontata, l’apertura di credito chiusa. Un vento nuovo soffia in Europa, come mostrano – per esempio – la crisi del Governo olandese, lo stallo dopo le elezioni spagnole, le difficoltà di Macron in Francia, l’altalena dell’Ue sulla gestione dei migranti. Si avvicinano le elezioni per l’Europarlamento previste per la primavera prossima e l’asse tra popolari e socialisti, che ha retto le sorti dell’Unione negli ultimi decenni, è in forte pericolo. Il governo Meloni è tra quanti spingono perché nuovi equilibri si instaurino a Bruxelles. Ma i vecchi equilibri non ci stanno e intendono calare tutte le carte possibili per cambiare la partita.

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