Mentre non si raffreddano le tensioni tra Governo e Regioni, con il Premier Conte che replica al Presidente della Lombardia Fontana spiegando che “non c’è una volontà di penalizzare aree a scapito di altre”, la Calabria che annuncia un ricorso contro la decisione di inserirla tra le zone rosse e il ministro della Sanità Speranza che ricorda come “in tutte le fasi del nostro lavoro c’è stato il pieno coinvolgimento delle istituzioni scientifiche come delle Regioni”, i leader dei partiti della maggioranza si sono incontrati per la prima volta dalla nascita dell’esecutivo con il presidente del Consiglio. Zingaretti e Crimi, fuori da palazzo Chigi dopo il vertice, hanno parlato di un “patto di legislatura” che potrebbe essere siglato nell’arco del mese di novembre. «Il Premier ha mostrato sempre una certa “allergia” a riunire i vertici della maggioranza per quella che si potrebbe chiamare una verifica di governo, che si sarebbe dovuta fare già quasi un anno fa. Il risultato più visibile dell’incontro di giovedì sera, dunque, è che i leader della maggioranza si sono riuniti per la prima volta intorno a un tavolo. Che questo significhi che l’esecutivo resti in sella fino alla fine della legislatura mi sembra pura astrazione. I tempi della tenuta di questa maggioranza vengono dettati da fattori come l’andamento del contagio o la situazione economica», è il commento di Guido Gentili, editorialista del Sole 24 Ore.
Il fatto che ci sia stato questo incontro è la prova del momento di debolezza di Conte?
Certamente, perché ha dovuto fare quello che ha sempre evitato di fare da quasi un anno a questa parte. È sotto gli occhi di tutti, ed è risultato visibile anche nei sondaggi sulla popolarità del Premier, che il Governo è arrivato sostanzialmente impreparato a questa seconda ondata di contagi. Conte è stato quindi costretto a digerire questa fase di verifica. Ha ribadito che non vi sarà alcun rimpasto e i leader della maggioranza non hanno per ora obiettato, ma si continua a navigare a vista.
Mentre Zingaretti e Crimi hanno incontrato i giornalisti fuori da palazzo Chigi, pare che Renzi abbia preferito uscire dal retro. Un segnale del fatto che non vuole mettere la faccia su un patto di legislatura?
Mi sembra che anche la battuta con cui ha concluso la nota che ha diffuso a seguito dell’incontro, “Se son rose fioriranno”, mostri in qualche modo che Renzi cerca di tenersi uno spazio per poter mantenere una posizione che può anche essere critica nei confronti delle scelte dell’esecutivo e per non legarsi troppo le mani.
Nel vertice si è deciso di avviare due tavoli, uno sugli obiettivi di politica economica, l’altro per le riforme istituzionali, visti anche i difficili rapporti tra Stato e Regioni emersi in queste settimane. Considerando che c’è anche una legge elettorale da varare, non rischia di esserci troppa carne al fuoco?
Il tavolo sulle riforme istituzionali mi sembra una pura chiacchiera e un modo per prendere tempo, perché sappiamo che l’unica “emergenza” è quella della riforma elettorale dopo il risultato del referendum sul taglio dei parlamentari. Era stato promesso il suo varo in tempi rapidissimi, ma si è arenata politicamente, passando poi nel dimenticatoio con l’arrivo della seconda ondata del Covid. Devo anche dire che parlare di rivisitazione dei rapporti tra Stato e Regioni, che sono stati oggetto di un referendum tenutosi nel 2016 con un risultato piuttosto chiaro, mi sembra davvero una materia per fare un giro di tavolo in un confronto più che un obiettivo davvero realizzabile.
Cosa pensa invece di tutte le polemiche che sono sorte dopo il varo dell’ultimo Dpcm?
Da un lato questo tira e molla con le Regioni che a seconda delle circostanze hanno chiesto più poteri o invocato una decisione dello Stato non è stato un bello spettacolo. Dall’altro, la messa a punto dell’ultimo Dpcm, con l’utilizzo di un sistema complesso di 21 indicatori e dati sulla cui qualità si sta continuando a discutere, è stata all’insegna della scarsa trasparenza. Un’opacità che non offre un belvedere agli occhi dell’opinione pubblica.
Le misure hanno un impatto sull’economia e la risposta del Governo sembra essere quella dei ristori. Considerando che l’ondata dei contagi potrebbe durare fino all’inizio del 2021 tutto questo rischia di avere un peso sul Pil e sul debito…
Ormai stiamo diventando un’economia fondata sui sussidi e sui ristori. Nel terzo trimestre dell’anno c’è stato un rimbalzo del Pil superiore alle aspettative, ma questa seconda ondata, come confermano le previsioni appena giunte dalla Commissione europea, sta già portando a un affievolimento della ripresa. L’Italia, come rilevato da Bruxelles, è il secondo Paese dopo la Spagna che avrà più difficoltà a ritornare ai livelli di Pil pre-Covid. Abbiamo anche un problema evidente sul terreno del debito pubblico, specie per la sua sostenibilità nel medio termine. Il risultato finale è l’immagine di un Paese congelato nell’incertezza e che dovrà vedere impegnate ancora le risorse pubbliche per erogare, giustamente, dei ristori. Un’economia che si fonda quindi sulla gestione emergenziale.
E nel frattempo si allungano i tempi per avere le risorse del Recovery fund.
Non solo, perché ancora sappiamo poco o nulla su come si vogliono utilizzare questi fondi che non arriveranno prima del secondo quadrimestre del 2021. Abbiamo perciò di fronte una situazione complicata, difficile anche dal punto di vista sociale. Ancora non si vede il profilo di una politica economica che riagguanti la crescita. Tra l’altro c’è una Legge di bilancio da rivedere e una Nadef con numeri diversi da quelli indicati dalla Commissione europea.
Il Governo riuscirà a restare in sella fino alla prossima primavera?
Difficile dirlo, perché la vera variabile è rappresentata dall’andamento dei contagi, da cui dipende tra l’altro la necessità di investimenti in campo sanitario. Collegato a tutto questo c’è il nodo del Mes, che nel vertice di maggioranza non è stato affrontato, nonostante vi siano due forze politiche, Pd e Italia Viva, che hanno a lungo strepitato proprio per arrivare a una scelta. Sappiamo che è un tema divisivo che può creare forti tensioni nell’esecutivo.
Se l’andamento dei contagi determina la tenuta del Governo viene da dire che se la situazione peggiora è più difficile pensare a un cambio di esecutivo…
Questo è un ragionamento corretto e lo stesso Conte lo ha utilizzato nei mesi del primo lockdown. Adesso, però, vale fino a un certo punto, nel senso che se la gestione della situazione da parte del Governo si mostrasse carente, se le scelte si rivelassero sbagliate o insufficienti, o quanto meno adottate con ritardo, l’esecutivo ne sarebbe penalizzato. C’è poi un dato importante che nessuno sta mettendo in evidenza.
Quale?
Da mesi ci stiamo ripetendo che il vaccino è fondamentale per lasciarsi alle spalle la pandemia. Negli altri Paesi ci si sta attrezzando anche a livello logistico e industriale, con la catena del freddo per poter trasportare in sicurezza i vaccini. Insomma, basta che arrivino le dosi e sono pronti per la distribuzione e la somministrazione sul territorio. Si tratta di investimenti importanti e in Italia non abbiamo nessun segnale sul fatto che si stia facendo qualcosa di analogo. Magari si sta lavorando su questo terreno decisivo in silenzio e non lo sa nessuno. Di certo quanto si è visto con il vaccino antinfluenzale non lascia ben sperare.
La prospettiva di un Governo di unità nazionale resta lontana?
Per poter immaginare un Governo di salute pubblica piuttosto che di unità nazionale occorrerebbe anche un atteggiamento diverso da parte del centrodestra, che mi sembra continui a proporre una ricetta un po’ stantia. Le mosse e le scelte dell’opposizione di fatto rendono più difficile uno sbocco di quel tipo.
Quanto possono resistere ancora le categorie produttive?
I dati relativi al Pil del terzo trimestre hanno mostrato che l’ossatura produttiva del Paese ha tenuto e rappresenta un punto di forza oggettivo che è stato in grado di rimettersi all’opera. Ci sono però settori, pensiamo al turismo o ai servizi in generale, che sono stati colpiti direttamente e pesantemente. Io credo che non si possa immaginare un continuo intervento dello Stato, con sussidi, ristori e blocco dei licenziamenti. Occorre mettere in campo quei programmi, come Transizione 4.0 o gli investimenti sulla qualità della formazione, che sono stati derubricati con il ritorno dei contagi. Occorre far partire i cantieri e non stanziare solo le risorse su di essi. Per quanto riguarda i servizi, non si può andare avanti con i sussidi che si sono mostrati tra l’altro insufficienti, occorre qualche idea in più. In questo senso anche qualche confronto in più, vero e sul merito, con le categorie produttive non guasterebbe. Il Governo non può pensare di risolvere tutto con una manciata di denari.
(Lorenzo Torrisi)