La prossima settimana si dovrebbe aprire la cosiddetta “fase 2” del governo Conte 2. A cinque mesi dall’insediamento, un periodo tutt’altro che entusiasmante per l’inedita coalizione M5s-Pd-Iv-Leu, l’esecutivo mostra di volere ripartire con uno slancio che finora non ha mai avuto. Nata sulla spinta dell’antisalvinismo, l’alleanza tra grillini e sinistra finora ha prodotto una legge di bilancio che – come tutti i governi degli ultimi anni – ha fatto slittare di 12 mesi l’aumento dell’Iva previsto dalle clausole di salvaguardia europee. A parte la legge di bilancio, c’è poco altro da porre sui piatti della bilancia.
Peraltro, questa legge ha avuto un percorso minato, fatto di trappole e agguati disseminati non dalle opposizioni ma dai quattro contraenti dell’alleanza, a turno. Il voto finale è arrivato in extremis, poco prima di finire in esercizio provvisorio. I partiti avevano promesso un rilancio con l’anno nuovo. Ma le elezioni in Emilia-Romagna e Calabria hanno indotto il governo a non prendere decisioni per non doverle pagare nelle urne. E così, di rinvio in rinvio, la “fase 2” arriva a febbraio avanzato.
In questi 5 mesi nella coalizione non si è ancora trovato un collante diverso dall’antisalvinismo per tenere assieme i giallorossi. Anzi, oggi non c’è un solo dossier sul quale la maggioranza sia coesa. Prescrizione dei processi, concessioni autostradali, caso Ilva, salvataggio Alitalia, riforma fiscale, rilancio dell’economia: ognuno sta andando per la sua strada. E Giuseppe Conte, l’“avvocato del popolo”, sembra avere perso quella capacità di mediazione che lo aveva trasformato da oscuro professore universitario a genio della politica.
Dunque, le prospettive di sopravvivenza sono affidate a questa fantomatica “fase 2”, che si preannuncia molto difficile soprattutto perché Matteo Renzi insiste nella strategia di volersi smarcare a ogni costo dal resto della maggioranza per guadagnare visibilità. Il biglietto da visita di questa verifica, che ha pure l’ambizione di impostare una profonda riforma del fisco, è invece un aumento mascherato dell’Iva. Il governo non l’ha (ancora) detto, ma il taglio del cuneo fiscale sarà finanziato con un ritocco all’imposta sul valore aggiunto, un leggero rialzo delle aliquote più basse. E anche sul nuovo Meccanismo europeo di stabilità pare che la trattativa con i partner europei non abbia avuto sbocchi: si firma ad aprile senza le modifiche chieste a suo tempo dal governo italiano per tacitare le proteste di M5s e Leu.
Conte avrà l’autorità di imporre questa ripartenza? Al momento non si vedono margini di convergenza: se sulla prescrizione Renzi ripete che non intende mollare, altrettanto fanno i grillini sulle concessioni autostradali. Il problema è che, in queste condizioni, anche nel Pd cominciano a farsi largo interrogativi sul futuro di questa esperienza. Senza che il Conte 2 riesca a trovare una vera anima e a varare un pacchetto di norme che segnino un cambiamento reale e non di facciata, il partito di Zingaretti non avrebbe interesse a tirare a campare, e nemmeno quelli di Leu.
Il voto in Emilia–Romagna ha mostrato che la Lega di Salvini ha perso il tocco del re Mida che trasformava ogni urna elettorale in oro. In questo momento ci sono due partiti su cui scaricare la responsabilità di un’eventuale rottura, cioè Italia viva e i 5 Stelle, quelli che avrebbero più da perdere in caso di ritorno anticipato al voto. Una circostanza che nel Pd non si esclude più a ogni costo.