C’è al governo un ministro che non parla mai e di cui non si parla mai. Un ministro ombra, o l’ombra di un ministro, o magari semplicemente un’ombra, o forse uno che abilmente si muove nell’ombra. Il suo nome è Lorenzo Guerini, ex democristiano, ex sindaco di Lodi, ex vicesegretario renziano e coordinatore del Pd. Ed ex presidente per un anno abbondante del Copasir, il Comitato parlamentare di controllo sui servizi segreti, un posto che garantisce un osservatorio privilegiato quanto riservato sulle faccende italiche e internazionali. Questo per dire che non succede a caso quando uno come Guerini apre bocca.



Ieri l’ha aperta per sgridare, sia pure indirettamente, il presidente del Consiglio. “Per vivere il Natale non c’è bisogno di regole da dare alle persone, lo fanno da sole, perché tutti siamo seri, responsabili e consapevoli che il nemico si affronta anche attraverso comportamenti individuali quotidiani”, ha detto il ministro della Difesa. È una risposta alla predica paternalistica di Giuseppe Conte, che l’altro giorno ha tolto la toga da avvocato del popolo per indossare la tonaca del parroco di campagna. “Natale non è solo festa e regali”, ha detto il premier prevosto, “ma anche un momento di raccoglimento spirituale, e farlo con tantissime persone non viene troppo bene”. L’omelia pauperistica di monsignor Conte per giustificare un lockdown imminente ci mancava.



Che sia uno prudente e silenzioso come Guerini a insorgere la dice lunga sull’insofferenza del Pd verso il premier, un’insoddisfazione che comincia a tracimare. All’opposto di Guerini, il focoso governatore campano Vincenzo De Luca è andato allo scontro diretto chiedendo le dimissioni del governo. Le scosse democratiche si registrano in un momento in cui per Conte è venuta meno una potente sponda internazionale: tra due mesi a Washington non ci sarà più Donald Trump a battere una pacca sulla spalla a “Giuseppi”. L’imbarazzo di Palazzo Chigi nel mandare un saluto a Joe Biden e il ritardo con cui il futuro presidente ha chiamato il presidente del Consiglio italiano fotografano la situazione di crisi.



Del resto, Conte fatica sempre più a trovare legittimazione da chi l’ha messo nel posto che occupa, cioè i 5 Stelle, maggioranza in Parlamento ma non più nel Paese. Gli Stati generali che si chiudono oggi mostrano un Movimento scollegato dalla realtà, incapace di coglierne le vere istanze, preoccupato di questioni regolamentari, di definire gli assetti interni e i rapporti con Davide Casaleggio più che di offrire proposte per uscire dall’emergenza. Sembra un remake del Titanic, con i passeggeri vestiti a festa che ballano su una nave che affonda.

Scosso dal Pd, abbandonato da Trump e indebolito dalla crisi del M5s, Conte non sa più come fare per dire agli italiani di starsene a casa senza proclamarlo apertamente. Ora il clima di allarme alimentato per mesi si ritorce contro il premier, visto che l’emergenza attuale è data dal non aver fatto certe cose tra la prima e la seconda ondata di contagi più che dalla forza del virus. Dalla sua parte, Conte ha soltanto la mancanza di alternative. E la determinazione del Colle a non chiudere un’esperienza di governo se non ce n’è un’altra pronta a subentrare.