Dalle parti del Quirinale la preoccupazione per la guerra in Ucraina monta ogni giorno dì più. Ma non per questo si pensa che con Putin si debba essere accomodanti. Il presidente Mattarella ha sfoderato un vocabolario pesantissimo sin da primo momento. Ha cominciato a Norcia, il giorno dopo l’invasione, scandendo come sia inaccettabile “piegarsi alla violenza della forza” usata contro uno stato Sovrano e democratico.
Chi avesse ancora qualche dubbio, ieri mattina ha trovato ampie conferme, soprattutto in un passaggio del discorso per l’8 marzo che è bene tenere a mente. “Opporsi oggi a questa deriva di scontri e di conflitti – ha spiegato il Capo dello Stato – comporta dei prezzi; potrebbe provocare dei costi alle economie dei Paesi che vi si oppongono, ma questi sarebbero di gran lunga inferiori a quelli che si pagherebbero se quella deriva non venisse fermata adesso”.
Parole nette, anche sulla necessità di sopportare il peso di ulteriori sanzioni pur di convincere la Russia a far tacere le armi. E in mezzo fra i due discorsi la scelta di assistere alla messa domenicale della comunità ucraina cattolica di Roma. Un modo inequivocabile per dire che vi sono un aggredito e un aggressore, entrambi perfettamente riconoscibili.
Sin dall’inizio della crisi Mattarella viene tenuto costantemente informato dell’andamento del conflitto dallo stato maggiore, anche in relazione alle discussioni in seno alla Nato. Non sembri strano: il ruolo di capo delle forze armate assegnato dalla Costituzione al presidente della Repubblica non è meramente formale, e lo si è visto nella convocazione immediata, lo stesso 24 febbraio, del Consiglio supremo di difesa, organismo che di regola si riunisce solo due volte all’anno in date fissate con largo anticipo.
Nulla è trapelato dal Quirinale sui contatti internazionali di Mattarella, ma è lecito supporre che contatti ve ne siano stati, soprattutto con quei leader con cui nel primo mandato ha costruito un rapporto personale, ad esempio il tedesco Steinmeier (appena riconfermato, come il nostro presidente), o lo stesso Macron. Negli ultimi giorni si è saputo solo della visita del montenegrino Dukanovic.
Dalle informazioni a sua disposizione Mattarella sembra aver maturato la convinzione che l’Europa non debba piegarsi, anche se questo può avere un prezzo alto. Non un coinvolgimento diretto nel conflitto, perché significherebbe davvero la terza guerra mondiale, ma intransigenza sì. Una posizione che sembra andare persino oltre quella sin qui espressa dal governo Draghi, tanto in sede europea che Nato. Nell’invito del premier italiano a valutare bene gli effetti delle sanzioni sulle economie continentali i più maligni fra gli osservatori stranieri hanno visto l’ennesima prova dell’inaffidabilità dell’Italia. Il tutto mentre, in realtà, la solerte Gran Bretagna di Johnson è stata molto più lenta del Belpaese nell’attivare le sanzioni contro gli oligarchi putinani. E Draghi se ne è lamentato lunedì a Bruxelles, passando repentinamente dall’italiano all’inglese, in modo da essere ben capito oltremanica.
Le parole di Mattarella sembrano insomma un ombrello aperto sulle scelte che il governo potrebbe dover prendere nei prossimi giorni, qualora si dovessero inasprire le sanzioni, arrivando alla chiusura (parziale o totale) del flusso di idrocarburi. Italia e Germania sarebbero le nazioni più in difficoltà, e sembra esserne consapevole persino Biden, che ieri ha decretato lo stop alle importazioni di gas e petrolio russi. Ma per gli Usa l’impatto è bassissimo, per l’Europa è tutta un’altra storia. Da qui la promessa della Casa Bianca di aiutare dal punto di vista energetico gli alleati in difficoltà, magari allentando il blocco al Venezuela, e forse persino all’Iran.
Difficile vedere linee divaricanti fra Quirinale e Palazzo Chigi, anche perché non è il momento di dividersi. Piuttosto il segnale che fermare l’orso russo sarà operazione difficile, lunga e rischiosa. Potrebbero esserci prezzi salati da pagare per gli italiani, e bisognerà spiegarlo all’opinione pubblica. Nato e Unione Europea, Mattarella lo ha ripetuto tante volte, rimangono le colonne portanti della politica estera italiana. E Draghi è il premier più filoatlantico da decenni. L’Italia non ha scelta, deve stare dalla parte dell’Occidente. Contribuire alla sua compattezza, anzi pretenderla.
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