Quando al Nazareno hanno letto sulle agenzie le indiscrezioni che Beppe Grillo e Giuseppe Conte stavano per recarsi dall’ambasciatore cinese a Roma sono rimasti basiti. Era venerdì scorso, e proprio in quelle ore Mario Draghi al G7 in Cornovaglia stava discutendo da pari a pari della ripresa economica post pandemia con i grandi della terra, segno di una ritrovata credibilità del nostro paese.
Dal quasi alleato pentastellato questo colpo basso Enrico Letta non se lo aspettava proprio. Nessuno ha pensato a una coincidenza casuale, conoscendo la cura con cui la Cina ed i suoi rappresentanti si muovono sulla scena internazionale. Dopo l’iniziale momento di smarrimento si è scelto il basso profilo, per non dare al centrodestra la soddisfazione di una polemica pubblica. Enrico Borghi, componente della segreteria, su twitter scrive che nel giorno in cui Draghi rafforza la cooperazione transatlantica non possono esserci spazi per ambiguità con Cina e Russia. Quasi identiche le parole di Lia Quartapelle, responsabile Europa, affari internazionali e cooperazione allo sviluppo.
Due vicinissimi a Letta, ce n’è a sufficienza per capire da quale parte stia il Pd. Il resto è affidato alla diplomazia dei contatti discreti. E se Conte all’ultimo minuto accampa “concomitanti impegni” (non ben specificati) per scansare l’incontro con il rappresentante di Pechino a Roma, forse è perché il malumore dei democratici è arrivato sino a lui, inducendolo alla prudenza.
La ferita, però, rimane, e mette in luce un aspetto sicuramente sottovalutato del rapporto con i 5 Stelle, la loro continuità con gli interessi cinesi. Quando venne firmato il memorandum sulla Nuova Via della Seta c’era Conte a Palazzo Chigi, ma il Pd era all’opposizione. Salvini, peraltro, era così poco convinto da disertare da vicepremier la cena di gala al Quirinale in onore di Xi Jing Ping in visita di Stato in Italia.
Quel memorandum è rimasto lettera morta sinora, e difficilmente farà passi avanti con Draghi, che anche al G7, dopo aver incontrato Biden, ha voluto sottolineare come le stelle polari della politica estera italiana rimarranno sempre europeismo e atlantismo.
Come convivere in un’alleanza che si candida a governare l’Italia con una formazione politica che dimostra grande apertura verso le istanze cinesi? Un chiarimento su questo punto non è più rinviabile, il problema verrà certamente posto a Conte in un prossimo futuro. E in quel modo forse i democratici potranno capire qualche cosa di più del ruolo attuale di Beppe Grillo, garante del Movimento, ultimo residuo del passato dopo il complicato divorzio con il figlio del co-fondatore, Davide Casaleggio.
I rapporti privilegiati con la Cina passano proprio per il comico genovese, che è stato più volte ospite dell’ambasciatore Li Junhua, l’abile tessitore delle trame sino-italiane negli ultimi due anni. Con Grillo diversi incontri. E sul suo blog personale il 19 maggio è stato pubblicato il rapporto intitolato “Xinjiang. Capire la complessità, costruire la pace”, promosso dal centro studi Cesem insieme ad Eurispes-Laboratorio Brics e Istituto diplomatico internazionale (Idi), che liquida come “sensazionalistiche” le accuse mosse “nel corso dell’ultimo anno dagli Stati Uniti e dai loro principali alleati sul presunto genocidio uiguro in atto nello Xinjiang”. Un’iniziativa sostenuta anche dal presidente della Commissione esteri del Senato, il pentastellato Vito Petrocelli.
Troppi indizi per non preoccuparsi, da parte democratica, e non solo. Non va dimenticato come il governo Draghi ad aprile abbia invocato il golden power per impedire l’acquisizione da parte della cinese Shenzen Investment Holding dell’italiana Lpe, leader nella produzione di circuiti integrati sconosciuta ai più. E questo dopo aver bloccato per due volte in pochi giorni gli affari di un’altro colosso cinese, Zte.
Se l’approccio di Draghi alla Cina è improntato alla massima cautela, a non lasciare alcun vantaggio strategico a Pechino, le aperture M5s costituiscono un problema per tutto il governo. Conte è avvisato, starà a lui disegnare un Movimento davvero non schiacciato sul Dragone. Altrimenti nella maggioranza finirà inevitabilmente isolato, con conseguente fatica a sviluppare il rapporto privilegiato con i democratici.
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