Altro che bluff. Matteo Renzi è veramente pronto a staccare la spina al governo, sul braccio di ferro contro la riforma della prescrizione. Magari non subito, magari dopo qualche mese di appoggio esterno, che gli permetta di condizionare le nomine di primavera piazzando un po’ di uomini suoi ai vertici delle aziende pubbliche. Ma poi, se voto ha da essere, che sia.
È una delle tesi che aleggiano accanto alle mosse, sempre imprevedibili e quindi sempre interessanti, dell’uomo di Rignano. Che cioè questo braccio di ferro non sia una spacconata, non sia una rodomontata priva di sostanza e destinata a dissolversi se solo il fronte tra il premier Giuseppe Conte e i grillini saprà reggere, pur messo a dura prova dalle cattiverie che Gigino Di Maio sta facendo contro l’inquilino di Palazzo Chigi.
Ebbene no. Basta seguire il filo rosso che ispira sempre le mosse di Renzi, la ricerca del maggior potere, e i conti tornano: fa sul serio.
Ricostruiamo le puntate precedenti e immaginiamo quelle successive. Dunque quando ad agosto Salvini, autolesionisticamente, tentò di staccare la spina al governo staccandola in realtà a se stesso, il vero artefice del “palmo di naso” con cui rimase il Capitano fu lui, Matteo Renzi, che convinse o meglio costrinse Zingaretti a sostituire la Lega nell’alleanza con i grillini.
Fatta la pace giallo-rossa, al primo pretesto Renzi fondò Italia viva, per scorporare dal mucchio rossastro del Pd ed esaltare i suoi seggi evidenziandone la crucialità per la tenuta della maggioranza in Parlamento. L’obiettivo di minima era condizionare il governo nella cruciale tornata di nomine pubbliche che inizierà a fine marzo, col deposito della lista dei consiglieri d’amministrazione delle Poste Italiane. Quello di massima, candidare la sua piccola forza politica ad essere ago della bilancia per tutta la legislatura, permettendogli nel frattempo di muovere tutte le possibili pedine lobbistiche per portare i voti veri alle prossime urne ben sopra i livelli meschini degli attuali sondaggi.
La battaglia sulla prescrizione è un ottimo avvio. Tutti gli avvocati, ma anche le loro famiglie e quelle degli inquisiti sono già un ottimo zoccolo duro, ed è tutta gente che senza dubbio depreca la demenziale pretesa grillina di eliminare l’unica garanzia residua al cittadino contro l’arbitrio della magistratura, di fare il bello e il cattivo tempo con il tempo degli altri.
In uno scenario neo-proporzionalista, un partito che riuscisse a guadagnare il 7-8 per cento fungerebbe davvero da ago della bilancia sia rispetto ad una peraltro improbabile alleanza di centro-destra – dove peraltro una gran massa di ex elettori forzisti attendono come il Messia il nuovo Cavaliere che ad oggi non c’è e comunque non veste felpe – che di centrosinistra, dove le sardine devono pur trovare qualcuno da votare non potendo banalmente accasarsi sotto i nipotini della falce e martello.
Quindi è improbabile che Renzi voglia far saltare il tavolo subito. Ma se i grillini fossero così pazzi da rischiare, potrebbero svegliarsi con la brutta sorpresa di vedersi avverare il più temuto degli scenari: tutti a casa, e subito, senza passare dal via e senza tornare mai più.
In una campagna elettorale proporzionalista Renzi sbancherebbe. Chi saprebbe contrastarlo nei comizi, al centro? Il forbito ma etereo Conte, per interposti grillini? Il tonitruante Salvini che ha stracciato il biglietto della lotteria appena vinto? Il balbettante Zingaretti? No di certo. Renzi è detestato da tanti, per l’antipatia che ha saputo suscitare in essi. Ma è pur sempre un leader vero. Tra i pochi apparsi sulla scena politica italiana negli ultimi decenni.