Nonostante i proclami di segno opposto, nella maggioranza sale la tensione. C’è l’insofferenza del Pd nei confronti di Giuseppe Conte e della sua gestione dell’emergenza sanitaria, culminata nello scivolone mediatico pre pasquale contro Salvini e la Meloni. C’è lo scalpitare dei renziani che fanno trapelare la possibilità di abbandonare la maggioranza dopo che dal Pd è partita l’idea di una tassa sui redditi medio-alti. E c’è soprattutto il venir meno del Movimento 5 stelle, di cui non parla più nessuno e che invece è il vero problema di questa fase.



Questa legislatura fa perno sul partito di Grillo, forza di maggioranza relativa in entrambe le Camere, senza del quale non si dà un governo con questo Parlamento. I 5 Stelle sono passati dalla vittoria del 2018 allo sgretolamento progressivo delle regionali. Hanno perso il loro capo politico, Luigi Di Maio, e hanno smarrito la direzione di marcia: dovevano rivoltare le Camere come calzini e sono invece stati rivoltati come materassi. Conte è uno dei loro ed è stato presentato come il mediatore che avrebbe risolto ogni litigiosità, mentre è finito a sfruttare l’epidemia del coronavirus per tentare di costruirsi la legittimità popolare che non ha avuto dalle urne. A ciò si aggiunge il caos dei rapporti con l’Europa: il M5s in estate si vantava di essere stato determinante per l’elezione di Ursula von der Leyen alla Commissione europea mentre adesso non riesce a uscire dalla trappola del Meccanismo europeo di stabilità (Mes), che Conte e il ministro Gualtieri di fatto hanno accettato. Uno strumento politico-finanziario che invece è ben visto da Pd, Italia viva e Forza Italia.



L’assenza di leadership grillina si riflette tutta in questi due mesi dominati dal Covid-19. Il governo si è dotato di poteri straordinari e di una pletora di organismi (Comitato tecnico-scientifico, Comitato di esperti in materia economico sociale, task force multidisciplinare per tracciare la popolazione, commissario straordinario per potenziare le strutture ospedaliere, Protezione civile); eppure al momento non è arrivato né un euro a chi dev’essere aiutato, siano aziende o lavoratori, né un piano credibile per la ripresa economica e produttiva.

Ora gli interrogativi sono tutti concentrati sul ruolo che avrà Vittorio Colao, un dirigente d’azienda di grande esperienza, nella fase di ricostruzione: un compito che potrebbe rappresentare un trampolino di lancio verso incarichi di maggiore rilievo se il governo Conte non dovesse reggere. Sul premier pesa pure il nervosismo del Quirinale, che aveva insistito perché il governo trovasse un dialogo con l’opposizione ed è stato ignorato.



Si profila infine l’ombra lunga di Mario Draghi, l’uomo più indicato per negoziare le condizioni più accettabili con Bruxelles. Si vocifera ora che Conte voglia farsi il suo partitino, chiamato con scarsissima fantasia “Con te”, il che costituirebbe una perfetta replica di quanto accadde con Mario Monti. Un modo per uscire di scena con un minimo di dignità ma anche per dire che lui si chiama fuori dalla prospettiva di un governo di unità nazionale guidato da Draghi. Prospettiva sempre più minacciosa, almeno per lui.

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