È in rapidissima evoluzione il quadro politico italiano. Fra pochi mesi, o forse fra poche settimane, nulla potrebbe essere più come l’abbiamo conosciuto sino all’inizio d’agosto. La crisi di governo e la nascita dell’esecutivo giallorosso hanno sbloccato la situazione, e nessuno può dire se l’orizzonte a medio e lungo periodo sia di maggiore, o minore stabilità. 



Per Giuseppe Conte, passato con disinvoltura da “avvocato del popolo” a premier vero della convergenza fra 5 Stelle e Pd, il rapido avvicinamento fra i due partiti in chiave di alleanza nelle elezioni locali costituisce senza dubbio una buona notizia. Se ci sarà una qualche forma di collaborazione, se dalle parti di Perugia si proverà questa ardita convergenza, il governo ne trarrà un enorme vantaggio in termine di solidità della coalizione. Il condizionale è d’obbligo, perché i tempi potrebbero non essere maturi, e l’elettorato (umbro, e non solo) potrebbe non capire. Del resto, il terreno scelto per l’esperimento appare accidentato e in forte salita, dopo lo scandalo della sanità che ha travolto il governo regionale di Catiuscia Marini, ultima di un’ininterrotta serie di governatori di sinistra.



L’incredibile cedevolezza con cui Di Maio si è arreso all’idea è parsa ai più strana: sino alla scorsa settimana l’alleanza con il Pd veniva respinta con sdegno dallo stato maggiore pentastellato. Oggi diventa una prospettiva possibile, seppur ammantata di accordo civico, con i partiti ai margini. Perché Di Maio ha cambiato idea così repentinamente? Se l’elettorato umbro dovesse bocciare lo schema giallorosso, il governo ne uscirebbe indebolito, e Salvini fortemente rilanciato.

Viene allora da pensare male: che si voglia compiere questo gioco di alambicchi in una regione piccola e marginale per testare il risultato, e magari scartarlo, se dovesse risultare fallimentare. In ogni caso, il voto umbro del 27 ottobre avrà un’importanza molto superiore al suo valore intrinsecamente locale.



Nel frattempo poi almeno altri due fattori potrebbero mettere alle corde il neonato esecutivo Conte bis. Il primo è rappresentato dal rischio sempre più concreto della scissione del Pd. L’allarme è talmente concreto da portare Dario Franceschini, dal palco della corrente di Area Dem, ad appellarsi a Renzi perché eviti la frattura. I segnali che indicano l’imminente creazione di gruppi parlamentari autonomi facenti capo all’ex premier sono infatti sempre più numerosi. E lo strappo potrebbe avvenire persino prima della Leopolda, fissata per il 18 ottobre, a Firenze.

Se Renzi dovesse rompere, l’intero quadro politico italiano ne uscirebbe terremotato. Il Pd sarebbe lacerato e sospinto verso sinistra, con una parte dei renziani che probabilmente rimarrebbe come quinta colonna nella casa madre, e il leader impegnato a costruire una formazione che guarda al centro, che potrebbe attrarre anche spezzoni di Forza Italia. Nell’immediato il governo non rischierebbe, ma nel medio periodo Renzi sarebbe il titolare della golden share sull’esecutivo. Potrebbe decretarne la fine in ogni momento.

Le forze di maggioranza poi farebbero bene a non sottovalutare la nuova strategia delineata da Salvini a Pontida: il “governo del popolo” contrapposto al “governo del palazzo”, attraverso lo strumento referendario. Non solo sulla legge elettorale, ma anche su altri temi, in primo luogo sulla sicurezza, se i due decreti voluti dall’ex ministro dell’Interno verranno stravolti. E la scorciatoia di far chiedere i referendum dalle Regioni, invece che raccogliere le firme, rappresenta un escamotage da non sottovalutare. La cabina elettorale usata come clava contro il parlamento, per mettere sotto pressione continua l’asse giallorosso, alla ricerca di un punto di rottura. In fondo, ricorrere alle Regioni consentirebbe a Salvini anche un altro risultato: far dimenticare il nulla di fatto sul terreno dell’autonomia differenziata, tema che sembra ormai impantanato in maniera forse irrimediabile. 

Il movimentismo leghista poi potrebbe estrinsecarsi anche su un altro piano: porte aperte a “tutti gli uomini di buona volontà” (sempre parole di Salvini a Pontida). È l’annuncio di una Lega pronta ad accogliere chi viene da altri partiti, a cominciare da Forza Italia, ma anche qualche 5 Stelle deluso, specie al Sud. Sinora quelle porte erano rimaste praticamente sprangate, salvo poche eccezioni.

Già a Natale, insomma, la mappa politica italiana potrebbe essere significativamente differente da oggi.